Signor di Mauvissiero, Concressalto e di Ionvilla, Cavallier
de l'ordine del Re Cristianissimo, Conseglier del suo privato Conseglio,
Capitano di 50 uomini d'arme e Ambasciator alla Serenissima Regina
d'Inghilterra.
2 Illustrissimo e unico cavalliero, s'io
rivolgo gli occhi della considerazione a remirar la vostra longanimità,
perseveranza e sollecitudine, con cui, giongendo ufficio ad ufficio, beneficio a
beneficio, m'avete vinto, ubligato e stretto, e solete superare ogni difficultà,
scampar da qualsivoglia periglio, e ridur a fine tutti vostri onoratissimi
dissegni; vegno a scorgere quanto propriamente vi conviene quella generosa
divisa, con la quale ornate il vostro terribil cimiero: dove quel liquido umore,
che suavemente piaga, mentre continuo e spesso stilla, per forza di perseveranza
rammolla, incava, doma, spezza e ispiana un certo, denso, aspro, duro e ruvido
sasso.
3 Se da l'altro lato mi riduco a mente come
(lasciando gli altri vostri onorati gesti da canto), per ordinazion divina e
alta providenza e predestinazione, mi siete sufficiente e saldo difensore
negl'ingiusti oltraggi ch'io patisco (dove bisognava che fusse un animo
veramente eroico per non dismetter le braccia, desperarsi e darsi vinto a sì
rapido torrente di criminali imposture), con quali a tutta possa m'ave fatto
émpeto l'invidia d'ignoranti, la presunzion di sofisti, la detrazion di
malevoli, la murmurazion di servitori, gli sussurri di mercenarii, le
contradizioni di domestici, le suspizioni di stupidi, gli scrupoli di
riportatori, gli zeli d'ipocriti, gli odii di barbari, le furie di plebei,
furori di popolari, lamenti di ripercossi e voci di castigati; ove altro non
mancava ch'un discortese, pazzo e malizioso sdegno feminile, di cui le false
lacrime soglion esser più potenti, che quantosivoglia tumide onde e rigide
tempeste di presunzioni, invidie, detrazioni, mormorii, tradimenti, ire, sdegni,
odii e furori); ecco vi veggio qual saldo, fermo e constante scoglio, che,
risorgendo e mostrando il capo fuor di gonfio mare, né per irato cielo, né per
orror d'inverno, né per violente scosse di tumide onde, né per stridenti aerie
procelle, né per violento soffio d'Aquiloni, punto si scaglia, si muove o si
scuote; ma tanto più si rinverdisce e di simil sustanza s'incota e si rinveste.
Voi, dunque, dotato di doppia virtù, per cui son potentissime le liquide e
amene stille, e vanissime l'onde rigide e tempestose; per cui contra le goccie
si rende sì fiacco il fortunato sasso, e contra gli flutti sorge sì potente il
travagliato scoglio; siete quello, che medesimo si rende sicuro e tranquillo
porto alle vere muse, e ruinosa roccia in cui vegnano a svanirsi le false
munizioni de impetuosi dissegni de lor nemiche vele. Io, dunque, qual nessun
giamai poté accusar per ingrato, nullo vituperò per discortese, e di cui non
è chi giustamente lamentar si possa; io, odiato da stolti, dispreggiato da
vili, biasimato da ignobili, vituperato da furfanti e perseguitato da genii
bestiali; io, amato da savii, admirato da dotti, magnificato da grandi, stimato
da potenti e favorito dagli dei; io, per tale tanto favore da voi già
ricettato, nodrito, difeso, liberato, ritenuto in salvo, mantenuto in porto;
come scampato per voi da perigliosa e gran tempesta; a voi consacro questa
àncora, queste sarte, queste fiaccate vele, e queste a me più care e al mondo
future più preziose merci, a fine che per vostro favore non si sommergano
dall'iniquo, turbulento e mio nemico Oceano. Queste, nel sacrato tempio della
Fama appese, come saran potenti contra la protervia de l'ignoranza e voracità
del tempo, cossì renderanno eterna testimonianza dell'invitto favor vostro; a
fin che conosca il mondo che questa generosa e divina prole, inspirata da alta
intelligenza, da regolato senso conceputa e da nolana Musa parturita, per voi
non è morta entro le fasce, e oltre si promette vita, mentre questa terra col
suo vivace dorso verrassi svoltando all'eterno aspetto de l'altre stelle
lampegianti.
4 Eccovi quella specie di filosofia nella quale
certa e veramente si ritrova quello che ne le contrarie e diverse vanamente si
cerca. E primeramente con somma brevità vi porgo per cinque dialogi tutto
quello che par che faccia alla contemplazion reale della causa, principio e uno.
5 Argomento del primo dialogo. Ove
nel primo dialogo avete una apologia, o qualch'altro non so che, circa gli
cinque dialogi intorno La cena de le ceneri, ecc.
6 Argomento del secondo dialogo. Nel
dialogo secondo avete primamente la raggione della difficultà di tal
cognizione, per sapere quanto il conoscibile oggetto sia allontanato dalla
cognoscitiva potenza. Secondo, in che modo e per quanto dal causato e
principiato vien chiarito il principio e causa. Terzo, quanto conferisca la
cognizion della sustanza de l'universo alla noticia di quello da cui ha
dependenza. Quarto, per qual mezzo e via noi particolarmente tentiamo di
conoscere il primo principio. Quinto, la differenza e concordanza, identità e
diversità, tra il significato da questo termino "causa" e questo
termino "principio". Sesto, qual sia la causa la quale si distingue in
efficiente, formale e finale, e in quanti modi è nominata la causa efficiente,
e con quante raggioni è conceputa; come questa causa efficiente è in certo
modo intima alle cose naturali, per essere la natura istessa, e come è in certo
modo esteriore a quelle; come la causa formale è congionta a l'efficiente, ed
è quella per cui l'efficiente opera, e come la medesima vien suscitata
dall'efficiente dal grembo de la materia; come coincida in un soggetto principio
l'efficiente e la forma, e come l'una causa è distinta da l'altra. Settimo, la
differenza tra la causa formale universale, la quale è una anima per cui
l'universo infinito, come infinito, non è unonullo vituperò per discortese, e
di cui non è chi giustamente lamentar si possa; io, odiato da stolti,
dispreggiato da vili, biasimato da ignobili, vituperato da furfanti e
perseguitato da genii bestiali; io, amato da savii, admirato da dotti,
magnificato da grandi, stimato da potenti e favorito dagli dei; io, per tale
tanto favore da voi già ricettato, nodrito, difeso, liberato, ritenuto in
salvo, mantenuto in porto; come scampato per voi da perigliosa e gran tempesta;
a voi consacro questa àncora, queste sarte, queste fiaccate vele, e queste a me
più care e al mondo future più preziose merci, a fine che per vostro favore
non si sommergano dall'iniquo, turbulento e mio nemico Oceano. Queste, nel
sacrato tempio della Fama appese, come saran potenti contra la protervia de
l'ignoranza e voracità del tempo, cossì renderanno eterna testimonianza
dell'invitto favor vostro; a fin che conosca il mondo che questa generosa e
divina prole, inspirata da alta intelligenza, da regolato senso conceputa e da
nolana Musa parturita, per voi non è morta entro le fasce, e oltre si promette
vita, mentre questa terra col suo vivace dorso verrassi svoltando all'eterno
aspetto de l'altre stelle lampegianti.
4 Eccovi quella specie di filosofia nella quale
certa e veramente si ritrova quello che ne le contrarie e diverse vanamente si
cerca. E primeramente con somma brevità vi porgo per cinque dialogi tutto
quello che par che faccia alla contemplazion reale della causa, principio e uno.
5 Argomento del primo dialogo. Ove
nel primo dialogo avete una apologia, o qualch'altro non so che, circa gli
cinque dialogi intorno La cena de le ceneri, ecc.
6 Argomento del secondo dialogo. Nel
dialogo secondo avete primamente la raggione della difficultà di tal
cognizione, per sapere quanto il conoscibile oggetto sia allontanato dalla
cognoscitiva potenza. Secondo, in che modo e per quanto dal causato e
principiato vien chiarito il principio e causa. Terzo, quanto conferisca la
cognizion della sustanza de l'universo alla noticia di quello da cui ha
dependenza. Quarto, per qual mezzo e via noi particolarmente tentiamo di
conoscere il primo principio. Quinto, la differenza e concordanza, identità e
diversità, tra il significato da questo termino "causa" e questo
termino "principio". Sesto, qual sia la causa la quale si distingue in
efficiente, formale e finale, e in quanti modi è nominata la causa efficiente,
e con quante raggioni è conceputa; come questa causa efficiente è in certo
modo intima alle cose naturali, per essere la natura istessa, e come è in certo
modo esteriore a quelle; come la causa formale è congionta a l'efficiente, ed
è quella per cui l'efficiente opera, e come la medesima vien suscitata
dall'efficiente dal grembo de la materia; come coincida in un soggetto principio
l'efficiente e la forma, e come l'una causa è distinta da l'altra. Settimo, la
differenza tra la causa formale universale, la quale è una anima per cui
l'universo infinito, come infinito, non è unoanimale positiva ma negativamente,
e la causa formale particulare moltiplicabile e moltiplicata in infinito; la
quale, quanto è in un soggetto più generale e superiore, tanto è più
perfetta; onde, gli grandi animali, quai sono gli astri, denno esser stimati in
gran comparazione più divini, cioè più intelligenti senza errore e operatori
senza difetto. Ottavo, che la prima e principal forma naturale, principio
formale e natura efficiente, è l'anima de l'universo: la quale è principio di
vita, vegetazione e senso in tutte le cose, che vivono, vegetano e sentono. E si
ha per modo di conclusione, che è cosa indegna di razional suggetto posser
credere che l'universo e altri suoi corpi principali sieno inanimati; essendo
che da le parti ed escrementi di quelli derivano gli animali che noi chiamiamo
perfettissimi. Nono, che non è cosa sì manca, rotta, diminuta e imperfetta,
che, per quel che ha principio formale, non abbia medesimamente anima, benché
non abbia atto di supposito che noi diciamo animale. E si conchiude, con
Pitagora e altri, che non in vano hanno aperti gli occhi, come un spirito
immenso, secondo diverse raggioni e ordini, colma e contiene il tutto. Decimo,
se viene a fare intendere che, essendo questo spirito persistente insieme con la
materia, la quale gli Babiloni e Persi chiamaro ombra; ed essendo l'uno e
l'altra indissolubili, è impossibile che in punto alcuno cosa veruna vegga la
corrozione, o vegna a morte secondo la sustanza; benché, secondo certi
accidenti, ogni cosa si cangie di volto, e si trasmute or sotto una or sotto
un'altra composizione, per una o per un'altra disposizione, or questo or
quell'altro essere lasciando e repigliando. Undecimo, che gli aristotelici,
platonici e altri sofisti non han conosciuta la sustanza de le cose; e si mostra
chiaro che ne le cose naturali quanto chiamano sustanza, oltre la materia, tutto
è purissimo accidente; e che da la cognizion de la vera forma s'inferisce la
vera notizia di quel che sia vita e di quel che sia morte; e, spento a fatto il
terror vano e puerile di questa, si conosce una parte de la felicità che
apporta la nostra contemplazione, secondo i fondamenti de la nostra filosofia:
atteso che lei toglie il fosco velo del pazzo sentimento circa l'Orco ed avaro
Caronte, onde il più dolce de la nostra vita ne si rape ed avelena. Duodecimo,
si distingue la forma, non secondo la raggion sustanziale per cui è una; ma
secondo gli atti e gli essercizii de le facultose potenze e gradi specifici de
lo ente che viene a produre. Terzodecimo, si conchiude la vera raggion
definitiva del principio formale: come la forma sia specie perfetta, distinta
nella materia, secondo le accidentali disposizioni dependenti da la forma
materiale, come da quella che consiste in diversi gradi e disposizioni de le
attive e passive qualitadi. Si vede come sia variabile, come invariabile; come
definisce e termina la materia, come è definita e terminata da quella. Ultimo,
si mostra con certa similitudine accomodata al senso volgare, qualmente questa
forma, quest'anima può esser tutta in tutto e qualsivoglia parte del tutto.
7 Argomento del terzo dialogo. Nel
terzo dialogo (dopo che nel primo è discorso circa la forma, la quale ha più
raggion di causa che di principio) si procede alla considerazion de la materia,
la quale è stimata aver più raggion di principio ed elemento che di causa:
dove, lasciando da canto gli preludii che sono nel principio del dialogo, prima
si mostra che non fu pazzo nel suo grado David de Dinanto in prendere la materia
come cosa eccellentissima e divina. Secondo, come con diverse vie di filosofare
possono prendersi diverse raggioni di materia, benché veramente sia una prima e
absoluta; perché con diversi gradi si verifica ed è ascosa sotto diverse
specie cotali, diversi la possono prendere diversamente secondo quelle raggioni
che sono appropriate a sé; non altrimente che il numero che è preso dall'aritmetrico
pura e semplicemente, è preso dal musico armonicamente, tipicamente dal
cabalista, e da altri pazzi e altri savii altrimente suggetto. Terzo, si
dechiara il significato per il nome materia per la differenza e similitudine che
è tra il suggetto naturale e arteficiale. Quarto, si propone come denno essere
ispediti gli pertinaci, e sin quanto siamo ubligati di rispondere e disputare.
Quinto, dalla vera raggion de la materia s'inferisce che nulla forma sustanziale
perde l'essere; e fortemente si convence, che gli peripatetici e altri filosofi
da volgo, benché nominano forma sustanziale, non hanno conosciuta altra
sustanza che la materia. Sesto, si conchiude un principio formale constante,
come è conosciuto un constante principio materiale; e che con la diversità de
disposizioni, che son nella materia, il principio formale si trasporta alla
moltiforme figurazione de diverse specie e individui; e si mostra onde sia
avenuto che alcuni, allevati nella scuola peripatetica, non hanno voluto
conoscere per sustanza altro che la materia. Settimo, come sia necessario che la
raggione distingua la materia da la forma, la potenza da l'atto; e si replica
quello che secondariamente si disse: come il suggetto e principio di cose
naturali per diversi modi di filosofare può essere, senza incorrere calunnia,
diversamente preso; ma più utilmente secondo modi naturali e magici, più
variamente secondo matematici e razionali; massime se questi talmente fanno alla
regola ed essercizio della raggione, che per essi al fine non si pone in atto
cosa degna e non si riporta qualche frutto di prattica, senza cui sarebbe
stimata vana ogni contemplazione.
8 Ottavo, si proponeno due raggioni con le
quali suol essere considerata la materia, cioè come la è una potenza, e come
la è un soggetto. E cominciando dalla prima raggione, si distingue in attiva e
passiva, e in certo modo se riporta in uno. Nono, s'inferisce dall'ottava
proposizione, come il supremo e divino è tutto quello che può essere, e come
l'universo è tutto quello che può essere, e altre cose non sono tutto quello
che esser possono. Decimo, per conseguenza di quello ch'è detto nel nono,
altamente breve e aperto si dimostra onde nella natura sono i vizii, gli mostri,
la corrozione e morte.
9 Undecimo, in che modo l'universo è in
nessuna e in tutte le parti; e si dà luogo a una eccellente contemplazione
della divinità.
10 Duodecimo, onde avvenga che l'intelletto non
può capir questo absolutissimo atto e questa absolutissima potenza.
Terzodecimo, si conchiude l'eccellenza della materia, la quale cossì coincide
con la forma, come la potenza coincide con l'atto. Ultimo, tanto da questo, che
la potenza coincide con l'atto e l'universo è tutto quello che può essere,
quanto da altre raggioni, si conchiude ch'il tutto è uno.
11 Argomento del quarto dialogo. Nel
quarto dialogo, dopo aver considerata la materia nel secondo, in quanto che la
è una potenza, si considera la materia in quanto che la è un suggetto. Ivi
prima, con gli passatempi Poliinnici, s'apporta la raggion di quella secondo gli
principii volgari, tanto di platonici alcuni, quanto di peripatetici tutti.
Secondo, raggionandosi iuxta gli proprii principii, si mostra una essere
la materia di cose corporee e incorporee con più raggioni. De quali la prima si
prende dalla potenza di medesimo geno; la seconda, dalla raggione di certa
analogia proporzionale del corporeo e incorporeo, absoluto e contratto; la
terza, da l'ordine e scala di natura, che monta ad un primo complettente o
comprendente; la quarta, da quel che bisogna che sia uno indistinto prima che la
materia vegna distinta in corporale e non corporale; il quale indistinto vien
significato per il supremo geno della categoria; la quinta, da quel che, siccome
è una raggion comune al sensibile e intelligibile, cossì deve essere al
suggetto della sensibilità; la sesta, da quel, che l'essere della materia è
absoluto da l'esser corpo, onde non con minor raggione può quadrare a cose
incorporee che corporee; la settima, da l'ordine del superiore e inferiore che
si trova ne le sustanze, perché, dove è questo, se vi presuppone e intende
certa comunione, la quale è secondo la materia che vien significata sempre per
il geno, come la forma vien significata dalla specifica differenza; la ottava,
è da un principio estraneo, ma conceduto da molti; la nona, dalla pluralità di
specie che si dice nel mondo intelligibile; la decima, dalla similitudine e
imitazione di tre mondi, metafisico, fisico e logico; la undecima, da quel, che
ogni numero, diversità, ordine, bellezza e ornamento è circa la materia.
12 Terzo si apportano con brevità quattro
raggioni contrarie; e si risponde a quelle. Quarto si mostra come sia diversa
raggione tra questa e quella, di questa e quella materia, e come ella nelle cose
incorporee coincida con l'atto, e come tutte le specie de le dimensioni sono
nella materia, e tutte le qualitadi son comprese ne la forma. Quinto, che nessun
savio disse mai le forme riceversi da la materia come di fuora, ma quella,
cacciandole come dal seno, mandarle da dentro. Laonde non è un prope nihil,
un quasi nulla, una potenza nuda e pura, se tutte le forme son come contenute da
quella, e dalla medesima per virtù dell'efficiente (il qual può esser anco
indistinto da lei secondo l'essere) prodotte e parturite; e che non hanno minor
raggione di attualitànell'essere sensibile ed esplicato, se non secondo
sussistenza accidentale, essendo che tutto il che si vede e fassi aperto per gli
accidenti fondati su le dimensioni, è puro accidente; rimanendo pur sempre la
sustanza individua e coincidente con la individua materia. Onde si vede chiaro,
che dall'esplicazione non possiamo prendere altro che accidenti, di sorte che le
differenze sustanziali sono occolte, disse Aristotele forzato da la verità. Di
maniera che, se vogliamo ben considerare, da questo possiamo inferire una essere
la omniforme sustanza, uno essere il vero ed ente, che secondo innumerabili
circostanze e individui appare, mostrandosi in tanti e sì diversi suppositi.
13 Sesto, quanto sia detto fuor d'ogni raggione
quello che Aristotele e altri simili intendono quanto all'essere in potenza la
materia, il qual certo è nulla: essendo che, secondo lor medesimi, questa è
sì fattamente permanente, che giamai cangia o varia l'esser suo, ma circa lei
è ogni varietà e mutazione, e quello che è dopo che posseva essere, anco
secondo essi, sempre è il composto. Settimo si determina de l'appetito de la
materia, mostrandosi quanto vanamente vegna definita per quello, non partendosi
da le raggioni tolte da' principii e supposizioni di color medesimi che tanto la
proclamano come figlia de la privazione e simile a l'ingordiggia irreparabile de
la vogliente femina.
14 Argomento del quinto dialogo. Nel
quinto dialogo, trattandosi specialmente de l'uno, viene compito il fondamento
de l'edificio di tutta la cognizion naturale e divina. Ivi prima s'apporta
proposito della coincidenza della materia e forma, della potenza e atto: di
sorte che lo ente, logicamente diviso in quel che è e può essere, fisicamente
è indiviso, indistinto ed uno; e questo insieme insieme infinito, immobile,
impartibile, senza differenza di tutto e parte, principio e principiato.
Secondo, che in quello non è differente il secolo da l'anno, l'anno dal
momento, il palmo dal stadio, il stadio da la parasanga, e nella sua essenza
questo e quell'altro essere specifico non è altro ed altro; e però
nell'universo non è numero, e però l'universo è uno. Terzo, che ne l'infinito
non è differente il punto dal corpo, perché non è altro la potenza e altro
l'atto; e ivi, se il punto può scorrere in lungo, la linea in largo, la
superficie in profondo, l'uno è lungo, l'altra è larga, l'altra è profonda; e
ogni cosa è lunga, larga e profonda; e per consequenza, medesimo e uno; e
l'universo è tutto centro e tutto circonferenza. Quarto, qualmente da quel,
ché Giove (come lo nominano) più intimamente è nel tutto che possa imaginarsi
esservi la forma del tutto (perché lui è la essenzia, per cui tutto quel ch'è
ha l'essere; ed essendo lui in tutto, ogni cosa più intimamente che la propria
forma ha il tutto), s'inferisce che tutte le cose sono in ciascuna cosa, e per
consequenza tutto è uno. Quinto, se risponde al dubio che dimanda, perché
tutte le cose particolari si cangiano, e le materie particolari, per ricevere
altro e altro essere, sinell'essere sensibile ed esplicato, se non secondo
sussistenza accidentale, essendo che tutto il che si vede e fassi aperto per gli
accidenti fondati su le dimensioni, è puro accidente; rimanendo pur sempre la
sustanza individua e coincidente con la individua materia. Onde si vede chiaro,
che dall'esplicazione non possiamo prendere altro che accidenti, di sorte che le
differenze sustanziali sono occolte, disse Aristotele forzato da la verità. Di
maniera che, se vogliamo ben considerare, da questo possiamo inferire una essere
la omniforme sustanza, uno essere il vero ed ente, che secondo innumerabili
circostanze e individui appare, mostrandosi in tanti e sì diversi suppositi.
15 Terzodecimo, s'apportano gli segni e le
verificazioni per quali gli contrarii veramente concorreno, sono da un principio
e sono in verità e sustanza uno; il che, dopo esser visto matematicamente, si
conchiude fisicamente.
16 Ecco, illustrissimo Signore, onde bisogna
uscire prima che voler entrare alla più speciale e appropriata cognizion de le
cose. Quivi, come nel proprio seme, si contiene ed implica la moltitudine de le
conclusioni della scienza naturale. Quindi deriva la intessitura, disposizione e
ordine de le scienze speculative. Senza questa isagogia in vano si tenta, si
entra, si comincia. Prendete, dunque, con grato animo questo principio, questo
uno, questo fonte, questo capo, perché vegnano animati a farsi fuora e mettersi
avanti la sua prole e genitura, gli suoi rivi e fiumi maggiori si diffondano, il
suo numero successivamente si moltipliche e gli suoi membri oltre si dispongano
a fin che, cessando la notte col sonnacchioso velo e tenebroso manto, il chiaro
Titone, parente de le dive Muse, ornato di sua fameglia, cinto da la sua eterna
corte, dopo bandite le notturne faci, ornando di nuovo giorno il mondo,
risospinga il trionfante carro dal vermiglio grembo di questa vaga Aurora. Vale.
Elegia 1
GIORDANO NOLANO AI PRINCIPI DE L'UNIVERSO
1
Lethaea undantem retinens ab origine
campum
2 Emigret o Titan, et petat astra precor.
3 Errantes stellae, spectate procedere in orbem
4 Me geminum, si vos hoc reserastis iter.
5 Dent geminas somni portas laxarier usque,
6 Vestrae per vacuum me properante vices:
7 Obductum tenuitque diu quod tempus avarum,
8 Mi liceat densis promere de tenebris.
9 Ad partum properare tuum, mens aegra, quid
obstat,
10 Seclo haec indigno sint tribuenda licet?
11 Umbrarum fluctu terras mergente, cacumen
12 Adtolle in clarum, noster Olimpe, Iovem.
Elegia 2
AL PROPRIO SPIRTO
1
Mons, licet innixum tellus radicibus altis
2 Te capiat, tendi vertice in astra vales.
3 Mens, cognata vocat summo de culmine rerum,
4 Discrimen quo sis manibus atque Iovi.
5 Ne perdas hic iura tui fundoque recumbens
6 Impetitus tingas nigri Acherontis aquas.
7 At mage sublimeis tentet natura recessus,
8 Nam, tangente Deo, fervidus ignis eris.
Elegia 3
AL TEMPO
1
Lente senex, idemque celer, claudensque
relaxans,
2 Anne bonum quis te dixerit, anne malum?
3 Largus es, esque tenax: quae munera porrigis,
aufers;
4 Quique parens aderas, ipse peremptor ades;
5 Visceribusque educta tuis in viscera condis,
6 Tu cui prompta sinu carpere fauce licet.
7 Omnia cumque facis cumque omnia destruis,
hinc te
8 Nonne bonum possem dicere, nonne malum?
9 Porro ubi tu diro rabidus frustraberis ictu,
10 Falce minax illo tendere parce manus,
11 Nulla ubi pressa Chaos atri vestigia parent
12 Ne videare bonus, ne videare malus.
Sonetto 1
DE L'AMORE
1
Amor, per cui tant'alto il ver discerno,
2 Ch'apre le porte di diamante e nere
3 Per gli occhi entra il mio nume; e per vedere
4 Nasce, vive, si nutre, ha regno eterno.
5 Fa scorger quant'ha il ciel terr'ed inferno,
6 Fa presente d'absenti effigie vere,
7 Repiglia forze, e, trando dritto, fere,
8 E impiaga sempre il cor, scuopre ogn'interno.
9 O dunque, volgo vile, al vero attendi,
10 Porgi l'orecchio al mio dir non fallace,
11 Apri, apri, se puoi, gli occhi, insano e
bieco.
12 Fanciullo il credi, perché poco intendi;
13 Perché ratto ti cangi, ei par fugace;
14 Per esser orbo tu, lo chiami cieco.
Sonetto 2
1
Causa, principio ed uno sempiterno,
2 Onde l'esser, la vita, il moto pende,
3 E a lungo, a largo e profondo si stende
4 Quanto si dic'in ciel, terr'ed inferno;
5 Con senso, con raggion, con mente scerno
6 Ch'atto, misura e conto non comprende
7 Quel vigor, mole e numero, che tende
8 Oltr'ogn'inferior, mezzo e superno.
9 Cieco error, tempo avaro, ria fortuna,
10 Sord'invidia, vil rabbia, iniquo zelo,
11 Crudo cor, empio ingegno, strano ardire
12 Non bastaranno a farmi l'aria bruna,
13 Non mi porrann'avanti gli occhi il velo,
14 Non faran mai che il mio bel sol non mire.
Dialogo 1
Interlocutori: Elitropio, Filoteo, Armesso.
1
\ ELITR.\ Qual rei nelle
tenebre avezzi, che, liberati dal fondo di qualche oscura torre, escono alla
luce, molti degli essercitati nella volgar filosofia ed altri paventaranno,
admiraranno e, non possendo soffrire il nuovo sole de' tuoi chiari concetti, si
turbaranno.
2 \ FIL.\ Il difetto non è di luce, ma di
lumi: quanto in sé sarà più bello e più eccellente il sole, tanto sarà agli
occhi de le notturne strige odioso e discaro di vantaggio.
3 \ ELITR.\ La impresa che hai tolta, o
Filoteo, è difficile, rara e singulare, mentre dal cieco abisso vuoi cacciarne
e amenarne al discoperto, tranquillo e sereno aspetto de le stelle, che con sì
bella varietade veggiamo disseminate per il ceruleo manto del cielo. Benché
agli uomini soli l'aitatrice mano di tuo piatoso zelo soccorra, non saran però
meno varii gli effetti de ingrati verso di te, che varii son gli animali che la
benigna terra genera e nodrisce nel suo materno e capace seno; se gli è vero
che la specie umana, particularmente negl'individui suoi, mostra de tutte
l'altre la varietade per esser in ciascuno più espressamente il tutto, che in
quelli d'altre specie. Onde vedransi questi che, qual'appannata talpa, non sì
tosto sentiranno l'aria discorperto, che di bel nuovo, risfossiccando la terra,
tentaranno agli nativi oscuri penetrali; quelli, qual notturni ucelli, non sì
tosto arran veduta spuntar dal lucido oriente la vermiglia ambasciatrice del
sole, che dalla imbecillità degli occhi suoi verranno invitati alla caliginosa
ritretta. Gli animanti tutti, banditi dall'aspetto de le lampadi celesti e
destinati all'eterne gabbie, bolge ed antri di Plutone, dal spaventoso ed
erinnico corno d'Alecto richiamati, apriran l'ali e drizzaranno il veloce corso
alle lor stanze. Ma gli animanti nati per vedere il sole, gionti al termine
dell'odiosa notte, ringraziando la benignità del cielo e disponendosi a
ricevere nel centro del globoso cristallo degli occhi suoi gli tanto bramosi e
aspettati rai, con disusato applauso di cuore, di voce e di mano adoraranno
l'oriente; dal cui dorato balco, avendo cacciati gli focosi destrieri il vago
Titane, rotto il sonnacchioso silenzio de l'umida notte, raggionaranno gli
uomini, belaranno gli facili, inermi e semplici lanuti greggi, gli cornuti
armenti sotto la cura de' ruvidi bifolchi muggiranno. Gli cavalli di Sileno,
perché di nuovo, in favor degli smarriti dei, possano dar spavento ai più de
lor stupidi gigantoni, ragghiaranno; versandosi nel suo limoso letto, con
importun gruito ne assordiranno gli sannuti ciacchi. Le tigri, gli orsi, gli
leoni, i lupi e le fallaci golpi, cacciando da sue spelunche il capo, da le
deserte alture contemplando il piano campo de la caccia, mandaranno dal ferino
petto i lor grunniti, ricti, bruiti, fremiti, ruggiti ed orli. Ne l'aria e su le
frondi di ramose piante, gli galli, le aquile, li pavoni, le grue, le tortore, i
merli, i passari, i rosignoli, le cornacchie, le piche, gli corvi, gli cuculi e
le cicade non sarran negligenti di replicar e radoppiar gli suoi garriti
strepitosi. Dal liquido e instabile campo ancora, li bianchi cigni, le
molticolorate anitre, gli solleciti merghi, gli paludosi bruchii, le ocche
rauche, le querulose rane ne toccaranno l'orecchie col suo rumore, di sorte
ch'il caldo lume di questo sole, diffuso all'aria di questo più fortunato
emisfero, verrà accompagnato, salutato e forse molestato da tante e tali
diversitadi de voci, quanti e quali son spirti che dal profondo di proprii petti
le caccian fuori.
4 \ FIL.\ Non solo è ordinario, ma anco
naturale e necessario, che ogni animale faccia la sua voce; e non è possibile
che le bestie formino regolati accenti e articulati suoni come gli uomini, come
contrarie le complessioni, diversi i gusti, varii gli nutrimenti.
5 \ ARM.\ Di grazia, concedetemi libertà di
dir la parte mia ancora; non circa la luce, ma circa alcune circustanze, per le
quali non tanto si suol consolare il senso, quanto molestar il sentimento di chi
vede e considera; perché, per vostra pace e vostra quiete, la quale con
fraterna caritade vi desio, non vorrei che di questi vostri discorsi vegnan
formate comedie, tragedie, lamenti, dialogi, o come vogliam dire, simili a
quelli che poco tempo fa, per esserno essi usciti in campo a spasso, vi hanno
forzato di starvi rinchiusi e retirati in casa.
6 \ FIL.\ Dite liberamente.
7 \ ARM.\ Io non parlarò come santo profeta,
come astratto divino, come assumpto apocaliptico, né quale angelicata asina di
Balaamo; non raggionarò come inspirato da Bacco, né gonfiato di vento da le
puttane muse di Parnaso, o come una Sibilla impregnata da Febo, o come una
fatidica Cassandra, né qual ingombrato da le unghie de' piedi sin alla cima di
capegli de l'entusiasmo apollinesco, né qual vate illuminato nell'oraculo o
delfico tripode, né come Edipo esquisito contra gli nodi della Sfinge, né come
un Salomone inver gli enigmi della regina Sabba, né qual Calcante, interprete
dell'olimpico senato; né come un inspiritato Merlino, o come uscito dall'antro
di Trofonio. Ma parlarò per l'ordinario e per volgare, come uomo che ho avuto
altro pensiero che d'andarmi lambiccando il succhio de la grande e piccola nuca,
con farmi al fine rimanere in secco la dura e pia madre; come uomo, dico, che
non ho altro cervello ch'il mio; a cui manco gli dei dell'ultima cotta e da
tinello nella corte celestiale (quei dico che non bevono ambrosia, né gustan
nettare, ma vi si tolgon la sete col basso de le botte e vini rinversati, se non
vogliono far stima de linfe e ninfe, quei, dico, che sogliono esser più
domestici, familiari e conversabili con noi), come è dire né il dio Bacco, né
quel imbreaco cavalcator de l'asino, né Pane, né Vertunno, né Fauno, né
Priapo, si degnano cacciarmene una pagliusca di più e di vantaggio dentro,
quantunque sogliano far copia de' fatti lor sin ai cavalli.
8 \ ELITR.\ Troppo lungo proemio.
9 \ ARM.\ Pacienza, che la conclusione sarà
breve. Voglio dir.brevemente, che vi farò udir paroli, che non bisogna
disciferarle come poste in distillazione, passate per lambicco, digerite dal
bagno di maria, e subblimate in recipe di quinta essenza; ma tale quali
m'insaccò nel capo la nutriccia, la quale era quasi tanto cotennuta, pettoruta,
ventruta, fiancuta e naticuta, quanto può essere quella londriota, che viddi a
Westmester; la quale, per iscaldatoio del stomaco, ha un paio di tettazze, che
paiono gli borzacchini del gigante san Sparagorio, e che, concie in cuoio,
varrebbono sicuramente a far due pive ferrarese.
10 \ ELITR.\ E questo potrebe bastare per un
proemio.
11 \ ARM.\ Or su, per venire al resto, vorrei
intendere da voi (lasciando un poco da canto le voci e le lingue a proposito del
lume e splendor che possa apportar la vostra filosofia) con che voci volete che
sia salutato particolarmente da noi quel lustro di dottrina, che esce dal libro
de la Cena de le ceneri? Quali animali son quelli che hanno recitata la Cena
de le ceneri? Dimando, se sono acquatici, o aerei, o terrestri, o lunatici?
E lasciando da canto gli propositi di Smitho, Prudenzio e Frulla, desidero di
sapere, se fallano coloro che dicono, che tu fai la voce di un cane rabbioso e
infuriato, oltre che talvolta fai la simia, talvolta il lupo, talvolta la pica,
talvolta il papagallo, talvolta un animale talvolta un altro, meschiando
propositi gravi e seriosi, morali e naturali, ignobili e nobili, filosofici e
comici?
12 \ FIL.\ Non vi maravigliate, fratello,
perché questa non fu altro ch'una cena, dove gli cervelli vegnono governati
dagli affetti, quali gli vegnon porgiuti dall'efficacia di sapori e fumi de le
bevande e cibi. Qual dunque può essere la cena materiale e corporale, tale
conseguentemente succede la verbale e spirituale; cossì dunque questa dialogale
ha le sue parti varie e diverse, qual varie e diverse quell'altra suole aver le
sue; non altrimente questa ha le proprie condizioni, circonstanze e mezzi, che
come le proprie potrebbe aver quella.
13 \ ARM.\ Di grazia, fate ch'io vi intenda.
14 \ FIL.\ Ivi, come è l'ordinario e il dovero,
soglion trovarsi cose da insalata da pasto, da frutti da ordinario, da cocina da
speciaria, da sani da amalati, di freddo di caldo, di crudo di cotto, di
acquatico di terrestre, di domestico di selvatico, di rosto di lesso, di maturo
di acerbo, e cose da nutrimento solo e da gusto, sustanziose e leggieri, salse e
inspide, agreste e dolci, amare e suavi. Cossì quivi, per certa conseguenza, vi
sono apparse le sue contrarietadi e diversitadi, accomodate a contrarii e
diversi stomachi e gusti, a' quali può piacere di farsi presenti al nostro
tipico simposio, a fine che non sia chi si lamente di esservi gionto invano, e a
chi non piace di questo, prenda di quell'altro.
15 \ ARM.\ È vero; ma che dirai, se oltre nel
vostro convito, ne la vostra cena appariranno cose, che non son buone né per
insalata né per pasto, né per frutti né per ordinario, né fredde né calde,
né crude né cotte, né vagliano per l'appetito né per fame, non son buone per
sani né per ammalati, e conviene che non escano da mani di cuoco né di
speciale?
16 \ FIL.\ Vedrai che né in questo la nostra
cena è dissimile a qualunqu'altra esser possa. Come dunque là, nel più bel
del mangiare, o ti scotta qualche troppo caldo boccone, di maniera che bisogna
cacciarlo de bel nuovo fuora, o piangendo e lagrimando mandarlo vagheggiando per
il palato sin tanto che se gli possa donar quella maladetta spinta per il
gargazzuolo al basso; overo ti si stupefà qualche dente, o te s'intercepe la
lingua che viene ad esser morduta con il pane, o qualche lapillo te si viene a
rompere e incalcinarsi tra gli denti per farti regittar tutto il boccone, o
qualche pelo o capello del cuoco ti s'inveschia nel palato per farti presso che
vomire, o te s'arresta qualche aresta di pesce ne la canna a farti suavemente
tussire, o qualche ossetto te s'attraversa ne la gola per metterti in pericolo
di suffocare; cossì nella nostra cena, per nostra e comun disgrazia, vi si son
trovate cose corrispondenti e proporzionali a quelle. Il che tutto avviene per
il peccato dell'antico protoplaste Adamo, per cui la perversa natura umana è
condannata ad aver sempre i disgusti gionti ai gusti.
17 \ ARM.\ Pia e santamente. Or che rispondete
a quel che dicono, che voi siete un rabbioso cinico?
18 \ FIL.\ Concederò facilmente, se non tutto,
parte di questo.
19 \ ARM.\ Ma sapete che non è vituperio ad un
uomo tanto di ricevere oltraggi, quanto di farne?
20 \ FIL.\ Ma basta che gli miei sieno chiamati
vendette, e gli altrui sieno chiamati offese.
21 \ ARM.\ Anco gli Dei son suggetti a ricevere
ingiurie, patir infamie e comportar biasimi: ma biasimare, infamare e ingiuriare
è proprio de' vili, ignobili, dappoco e scelerati.
22 \ FIL.\ Questo è vero; però noi non
ingiuriamo, ma ributtiamo l'ingiurie, che son fatte non tanto a noi, quanto a la
filosofia spreggiata, con far di modo ch'agli ricevuti dispiaceri non s'aggiongano
degli altri.
23 \ ARM.\ Volete, dunque, parer cane che
morde, a fin che non ardisca ognuno di molestarvi?
24 \ FIL.\ Cossì è, perché desidero la
quiete, e mi dispiace il dispiacere.
25 \ ARM.\ Sì, ma giudicano che procedete
troppo rigorosamente.
26 \ FIL.\ A fine che non tornino un'altra
volta essi, ed altri imparino di non venir a disputar meco e con altro,
trattando con simili mezzi termini queste conclusioni.
27 \ ARM.\ La offesa fu privata, la vendetta è
publica.
28 \ FIL.\ Non per questo è ingiusta; perché
molti errori si commettono in privato, che giustamente si castigano in publico.
29 \ ARM.\ Ma con ciò venite a guastare la
vostra riputazione, e vi fate più biasimevole che coloro; perché publicamente
se dirà che siete impaziente, fantastico, bizarro, capo sventato.
30 \ FIL.\ Non mi curo, pur che oltre non mi
siano essi o altri molesti; e per questo mostro il cinico bastone, acciò che mi
lascino star co' fatti miei in pace; e se non mi vogliono far carezze, non
vegnano ad esercitar la loro inciviltà sopra di me.
31 \ ARM.\ Or vi par che tocca ad un filosofo
di star su la vendetta?
32 \ FIL.\ Se questi che mi molestano fussero
una Xantippe, io sarei un Socrate.
33 \ ARM.\ Non sai che la longanimità e
pazienza sta bene a tutti, per la quale vegnano ad esser simili agli eroi ed
eminenti Dei; che, secondo alcuni, si vendicano tardi, e, secondo altri, né si
vendicano né si adirano?
34 \ FIL.\ T'inganni pensando ch'io sia stato
su la vendetta.
35 \ ARM.\ E che dunque?
36 \ FIL.\ Io son stato su la correzione,
nell'esercizio della quale ancora siamo simili agli Dei. Sai che il povero
Vulcano è stato dispensato da Giove di lavorare anco gli giorni di festa; e
quella maladetta incudine non si lassa o stanca mai a comportar le scosse di
tanti e sì fieri martelli, che non sì tosto è alzato l'uno che l'altro è
chinato, per far che gli giusti folgori, con gli quali gli delinquenti e rei si
castigheno, non vegnan meno.
37 \ ARM.\ È differenza tra voi e il fabro di
Giove e marito della ciprigna dea.
38 \ FIL.\ Basta che ancora non son dissimile a
quelli forse nella pazienza e longanimità; la quale in quel fatto ho
essercitata, non rallentando tutto il freno al sdegno, né toccando di più
forte sprone l'ira.
39 \ ARM.\ Non tocca ad ognuno di essere
correttore, massime de la moltitudine.
40 \ FIL.\ Dite ancora, massime quando quella
non lo tocca.
41 \ ARM.\ Si dice che non devi esser sollecito
nella patria aliena.
42 \ FIL.\ E io dico due cose: prima, che non
si deve uccidere un medico straniero, perché tenta di far quelle cure che non
fanno i paesani; secondo dico, che al vero filosofo ogni terreno è patria.
43 \ ARM.\ Ma se loro non ti accettano né per
filosofo né per medico, né per paesano?
44 \ FIL.\ Non per questo mancarà ch'io sia.
45 \ ARM.\ Chi ve ne fa fede?
46 \ FIL.\ Gli numi che me vi han messo, io che
me vi ritrovo, e quelli ch'hanno gli occhi, che me vi veggono.
47 \ ARM.\ Hai pochissimi e poco noti
testimoni.
48 \ FIL.\ Pochissimi e poco noti sono gli veri
medici, quasi tutti sono veri amalati. Torno a dire, che loro non hanno libertà
altri di fare, altri di permettere che sieno fatti tali trattamenti a quei che
porgono onorate merci, o sieno stranieri o non.
49 \ ARM.\ Pochi conoscono queste merci.
50 \ FIL.\ Non per questo le gemme sono men
preciose e non le doviamo con tutto il nostro forzo defendere e farle defendere,
liberare e vendicare dalla conculcazione de' piè porcini con ogni possibil
rigore. E cossì mi sieno propicii gli superi, Armesso mio, che io mai feci di
simili vendette per sordido amor proprio o per villana cura d'uomo particulare,
ma per amor della mia tanto amata madre filosofia e per zelo della lesa maestà
di quella. La quale da' mentiti familiari e figli (perché non è vil pedante,
poltron dizionario, stupido fauno, ignorante cavallo, che, o con mostrarsi carco
di libri, con allungarsi la barba o con altre maniere mettersi in prosopopeia,
non voglia intitolarsi de la fameglia) è ridutta a tale, che appresso il volgo
tanto val dire un filosofo, quanto un frappone, un disutile, pedantaccio,
circulatore, saltainbanco, ciarlatano, buono per servir per passatempo in casa e
per spavantacchio d'ucelli a la campagna.
51 \ ELITR.\ A dire il vero, la famiglia de'
filosofi è stimata più vile dalla maggior parte del mondo, che la famiglia de'
cappellani; perché non tanto quelli, assunti da ogni specie di gentaglie, hanno
messo il sacerdocio in dispregio, quanto questi, nominati da ogni geno di
bestiali, hanno posto la filosofia in vilipendio.
52 \ FIL.\ Lodiamo, dunque, nel suo geno l'antiquità,
quando tali erano gli filosofi che da quelli si promovevano ad essere
legislatori, consiliarii e regi; tali erano consiliarii e regi, che da questo
essere s'inalzavano a essere sacerdoti. A questi tempi la massima parte di
sacerdoti son tali, che son spreggiati essi, e per essi son spreggiate le leggi
divine; son tali quasi tutti quei che veggiamo filosofi, che essi son vilipesi,
e per essi le scienze vegnono vilipese. Oltre che, tra questi la moltitudine de
forfanti, come di urtiche, con gli contrari sogni suole dal suo canto ancora
opprimere la rara virtù e veritade, la qual si mostra ai rari.
53 \ ARM.\ Non trovo filosofo che s'adire sì
per la spreggiata filosofia, né, o Elitropio, scorgo alcuno sì affetto per la
sua scienza, quanto questo Teofilo; che sarebbe, se tutti gli altri filosofi
fussero della medesima condizione, voglio dire sì poco pazienti?
54 \ ELITR.\ Questi altri filosofi non hanno
ritrovato tanto, non hanno tanto da guardare, non hanno da difender tanto.
Facilmente possono ancor essi tener a vile quella filosofia che non val nulla, o
altra che val poco, o quella che non conoscono; ma colui che ha trovata la
verità, che è un tesoro ascoso, acceso da la beltà di quel volto divino, non
meno doviene geloso perché la non sia defraudata, negletta e contaminata, che
possa essere un altro sordido affetto sopra l'oro, carbuncolo e diamante, o
sopra una carogna di bellezza feminile.
55 \ ARM.\ Ma ritorniamo a noi, e vengamo al quia.
Dicono di voi, Teofilo, che in quella vostra Cena tassate e ingiuriate
tutta una città, tutta una provinzia, tutto un regno.
56 \ FIL.\ Questo mai pensai, mai intesi, mai
feci; e se l'avesse pensato, inteso o fatto, io mi condannerei pessimo, e sarei
apparecchiato a mille retrattazioni, a mille revocazioni, a mille palinodie; non
solamente s'io avesse ingiuriato un nobile e antico regno, come è questo, ma
qualsivoglia altro, quantunque stimato barbaro: non solamente dico qualsivoglia
città, quantunque diffamata incivile, ma e qualsivoglia lignaggio, quantunque
divolgato salvaggio, ma e qualsivoglia fameglia, quantunque nominata inospitale:
perché non può essere regno, città, prole o casa intiera, la quale possa o si
deve presupponere d'un medesimo umore, e dove non possano essere oppositi o
contrarii costumi; di sorte che quel che piace a l'uno, non possa dispiacere
all'altro.
57 \ ARM.\ Certo, quanto a me, che ho letto e
riletto e ben considerato il tutto, benché circa particolari non so perché vi
trovo alquanto troppo effuso, circa il generale vi veggo castigata ragionevole e
discretamente procedere: ma il rumore è sparso nel modo ch'io vi dico.
58 \ ELITR.\ Il rumore di questo e altro è
stato sparso dalla viltà di alcuni di quei che si senton ritoccati; li quali,
desiderosi di vendetta, veggendosi insufficienti con propria raggione, dottrina,
ingegno e forza, oltre che fingono quante altre possono falsitadi, alle quali
altri che simili a loro non possono porger fede, cercano compagnia con fare
ch'il castigo particolare sia stimato ingiuria commune.
59 \ ARM.\ Anzi credo che sieno di persone non
senza giudicio e conseglio, le quali pensano l'ingiuria universale, perché
manifestate tai costumi in persone di tal generazione.
60 \ FIL.\ Or quai costumi son questi nominati,
che simili, peggiori e molti più strani in geno, specie e numero non si trovino
in luoghi delle parti e provinze più eccellenti del mondo? Mi chiamerete forse
ingiurioso e ingrato alla mia patria, s'io dicesse che simili e più criminali
costumi se ritrovano in Italia, in Napoli, in Nola? Verrò forse per questo a
digradir quella regione gradita dal cielo e posta insieme insieme talvolta capo
e destra di questo globo, governatrice e domitrice dell'altre generazioni, e
sempre da noi ed altri è stata stimata maestra, nutrice e madre de tutte le
virtudi, discipline, umanitadi, modestie e cortesie, se si verrà ad essagerar
di vantaggio quel che di quella han cantato gli nostri medesimi poeti che non
meno la fanno maestra di tutti vizii, inganni, avarizie e crudeltadi?
61 \ ELITR.\ Questo è certo secondo gli
principii della vostra filosofia; per i quali volete che gli contrarii hanno
coincidenza ne' principii e prossimi suggetti: perché que' medesimi ingegni,
che sono attissimi ad alte, virtuose e generose imprese, se fian perversi, vanno
a precipitar in vizii estremi. Oltre che là si sogliono trovare più rari e
scelti ingegni, dove per il comune sono più ignoranti e sciocchi, e dove per il
più generale son meno civili e cortesi, nel più particulare si trovano de
cortesie e urbanitadi estreme: di sorte che, in diverse maniere, a molte
generazioni pare che sia data medesima misura de perfezioni e imperfezioni.
62 \ FIL.\ Dite il vero.
63 \ ARM.\ Con tutto ciò io, come molti altri
meco, mi dolgo, Teofilo, che voi nella nostra amorevol patria siate incorsi a
tali suppositi, che vi hanno porgiuta occasione di lamentarvi con una cinericia
cena, che ad altri ed altri molti che vi avesser fatto manifesto, quanto questo
nostro paese, quantunque sia detto da' vostri penitus toto divisus ab orbe,
sia prono a tutti gli studi de buone lettere, armi, cavalleria, umanitadi e
cortesie; nelle quali, per quanto comporta delle nostre forze il nerbo, ne
forziamo di non essere inferiori a' nostri maggiori e vinti da le altre
generazioni; massime da quelle che si stimano aver le nobilitadi, le scienze, le
armi, e civilitadi come da natura.
64 \ FIL.\ Per mia fede, Armesso, che in quanto
riferisci io non debbo né saprei con le paroli, né con le raggioni, né con la
conscienza contradirvi, perché con ogni desterità di modestia e di argomenti
fate la vostra causa. Però io per voi, come per quello che non vi siete
avicinato con un barbaro orgoglio, comincio a pentirmi, e prendere a dispiacere
di aver ricevuta materia da que' prefati, di contristar voi e altri
d'onestissima e umana complessione: però bramarei che que' dialogi non fussero
prodotti, e se a voi piace, mi forzarò che oltre non vengan in luce.
65 \ ARM.\ La mia contristazione, con quella
d'altri nobilissimi, tanto manca che proceda dalla divolgazione de quei dialogi,
che facilmente procurarei che fussero tradotti in nostro idioma, a fin che
servissero per una lezione a quei poco e male accostumati, che son tra noi; che
forse, quando vedessero con qual stomaco son presi e con quai delineamenti son
descritti gli suoi discortesi rancontri e quanto quelli sono mal significativi,
potrebbe essere che, se, per buona disciplina e buono essempio che veggano negli
megliori e maggiori, non si vogliono ritrar da quel camino, almeno vegnano a
cangiarsi e conformarsi a quelli, per vergogna di esserno connumerati tra tali e
quali; imparando che l'onor de le persone e la bravura non consiste in posser e
saper con que' modi esser molesto, ma nel contrario a fatto.
66 \ ELITR.\ Molto vi mostrate discreto e
accorto nella causa de la vostra patria, e non siete verso gli altrui buoni
uffici ingrato e irreconoscente, quali esser possono molti poveri d'argumento e
di consiglio. Ma Filoteo non mi par tanto aveduto per conservar la sua
riputazione e defendere la sua persona; perché, quanto è differente la
nobiltade dalla rusticitade, tanto contrarii effetti si denno sperare e temere
in un Scita villano, il quale riuscirà savio e per il buon successo verrà
celebrato, se, partendosi dalle ripe del Danubio, vada con audace riprensione e
giusta querela a tentar l'autorità e maestà del Romano Senato; che dal colui
biasimo e invettiva sappia prendere occasione di fabricarvi sopra atto di
estrema prudenza e magnanimitade, onorando il suo rigido riprensore di statua e
di colosso; che se un gentiluomo e Senator Romano per il mal successo possa
riuscir poco savio, lasciando le amene sponde del suo Tevere, sen vada, anco con
giusta querela e raggionevolissima riprensione, a tentar gli scitici villani;
che da quello prendano occasione di fabricar torri e Babilonie d'argumenti di
maggior viltade, infamia e rusticitade, con lapidarlo, rallentando alla furia
populare il freno, per far meglio sapere all'altre generazioni quanta differenza
sia di contrattare e ritrovarsi tra gli uomini e tra color che son fatti ad
imagine e similitudine di quelli.
67 \ ARM.\ Non fia mai vero, o Teofilo, che io
debba o possa stimare che sia degno ch'io, o altro che ha più sale di me,
voglia prendere la causa e protezione di costoro, che son materia de la vostra
satira, come per gente e persone del paese, alla cui difensione dall'istessa
legge naturale siamo incitati; perché non confessarò giamai, e non sarò
giamai altro che nemico de chi affirmasse, che costoro sieno parte e membri de
la nostra patria, la quale non consta d'altro che di persone cossì nobili,
civili, accostumate, disciplinate, discrete, umane, raggionevoli come altra
qualsivoglia. Dove, benché vegnan contenuti questi, certo non vi si trovano
altrimente che come lordura, feccia, lettame e carogna; di tal sorte, che non
potrebono con altro modo esser chiamati parte di regno e di cittade, che la
sentina parte de la nave. E però per simili tanto manca che noi doviamo
risentirci, che, risentendoci, doveneremmo vituperosi. Da questi non escludo
gran parte di dottori e preti, de' quali quantunque alcuni per mezzo del
dottorato doventano signori, tuttavolta per il più quella autorità villanesca,
che prima non ardivano mostrare, appresso per la baldanza e presunzione, che se
gli aggiunge dalla riputazion di letterato e prete, vegnono audace e
magnanimamente a porla in campo; laonde non è maraviglia se vedete molti e
molti, che con quel dottorato e presbiterato sanno più di armento, mandra e
stalla, che quei che sono attualmente strigliacavallo, capraio e bifolco. Per
questo non arrei voluto che sì aspramente vi fuste portato verso la nostra
Universitade ancora, quasi non perdonando al generale, né avendo rispetto a
quel che è stata, sarà o potrà essere per l'avvenire, e in parte è al
presente.
68 \ FIL.\ Non vi affannate, perché, benché
quella ne sia presentata per filo in questa occasione, tutta volta non fa tale
errore che simile non facciano tutte l'altre che si stimano maggiori, e per il
più sotto titolo di dottori cacciano annulati cavalli e asini diademati. Non
gli toglio però quanto da principio sia stata bene instituita, gli begli ordini
di studii, la gravità di ceremonie, la disposizione degli esercizii, decoro
degli abiti e altre molte circostanze che fanno alla necessità e ornamento di
una academia; onde, senza dubio alcuno, non è chi non debba confessarla prima
in tutta l'Europa e per conseguenza in tutto il mondo. E non niego che, quanto
alla gentilezza di spirti e acutezza de ingegni, gli quali naturalmente l'una e
l'altra parte de la Brittannia produce, sia simile e possa esser equale a quelle
tutte che son veramente eccellentissime. Né meno è persa la memoria di quel,
che, prima che le lettere speculative si ritrovassero nell'altre parti de
l'Europa, fiorirno in questo loco; e da que' suoi principi de la metafisica,
quantunque barbari di lingua e cucullati di professione, è stato il splendor
d'una nobilissima e rara parte di filosofia (la quale a' tempi nostri è quasi
estinta) diffuso a tutte l'altre academie de le non barbare provinze. Ma quello
che mi ha molestato e mi dona insieme insieme fastidio e riso, è, che con
questo che io non trovo più romani e più attici di lingua che in questo loco,
del resto (parlo del più generale) si vantano di essere al tutto dissimili e
contrarii a quei che furon prima; li quali, poco solleciti de l'eloquenza e
rigor grammaticale, erano tutti intenti alle speculazioni, che da costoro son
chiamate Sofismi. Ma io più stimo la metafisica di quelli, nella quale hanno
avanzato il lor prencipe Aristotele (quantunque impura e insporcata con certe
vane conclusioni e teoremi, che non sono filosofici né teologali, ma da ociosi
e mal impiegati ingegni), che quanto possono apportar questi de la presente
etade con tutta la lor ciceroniana eloquenza e arte declamatoria.
69 \ ARM.\ Queste non son cose da spreggiare.
70 \ FIL.\ È vero; ma, dovendosi far elezione
de l'un de' doi, io stimo più la coltura dell'ingegno, quantunque sordida la
fusse, che di quantunque disertissime paroli e lingue.
71 \ ELITR.\ Questo proposito mi fa ricordar di
fra Ventura: il quale, trattando un passo del santo Vangelo, che dice reddite
quae sunt Caesaris Caesari, apportò a proposito tutti gli nomi de le monete
che sono state a' tempi di romani, con le loro marche e pesi, che non so da qual
diavolo di annale o scartafaccio l'avesse racolti, che furono più di cento e
vinti, per farne conoscere quanto era studioso e retentivo. A costui, finito il
sermone, essendosegli accostato un uom da bene, li disse: - Padre mio reverendo,
di grazia, imprestatemi un carlino. - A cui rispose che lui era de l'ordine
mendicante.
72 \ ARM.\ A che fine dite questo?
73 \ ELITR.\ Voglio dire che quei che son molto
versati circa le dizioni e nomi, e non son solleciti delle cose, cavalcano la
medesima mula con questo reverendo padre de le mule.
74 \ ARM.\ Io credo che, oltre il studio de
l'eloquenza, nella quale avanzano tutti gli loro antiqui, e non sono inferiori
agli altri moderni, ancora non sono mendichi nella filosofica e altrimente
speculative professioni; senza la perizia de le quali non possono esser promossi
a grado alcuno; perché gli Statuti de l'università, alle quali sono astretti
per giuramento, comportano che nullus ad philosophiae et theologiae
magisterium et doctoratum promoveatur, nisi epotaverit e fonte Aristotelis.
75 \ ELITR.\ Oh, io ve dirò quel ch'han fatto
per non esser pergiuri. Di tre fontane, che sono nell'Università, all'una hanno
imposto nome Fons Aristotelis, l'altra dicono Fons Pythagorae,
l'altra chiamano Fons Platonis. Da questi tre fonti traendosi l'acqua per
far la birra e la cervosa (de la qual acqua pure non mancano di bere i buoi e
gli cavalli), conseguentemente non è persona, che, con esser dimorata meno che
tre o quattro giorni in que' studii e collegii, non vegna ad esser imbibito non
solamente del fonte di Aristotele, ma e oltre di Pitagora e Platone.
76 \ ARM.\ Oimè, che voi dite pur troppo il
vero. Quindi aviene, o Teofilo, che li dottori vanno a buon mercato come le
sardelle, perché come con poca fatica si creano, si trovano, si pescano, cossì
con poco prezzo si comprano. Or dunque, tale essendo appresso di noi il volgo di
dottori in questa etade (riserbando però la reputazione d'alcuni celebri e per
l'eloquenza e per la dottrina e per la civil cortesia, quali sono un Tobia
Mattheo, un Culpepero, e altri che non so nominare), accade che tanto manca che
uno, per chiamarsi dottore, possa esser stimato aver novo grado di nobiltade,
che più tosto è suspetto di contraria natura e condizione, se non sia
particolarmente conosciuto. Quindi accade che quei, che per linea o per altro
accidente son nobili, ancor che gli s'aggiunga la principal parte di nobiltà
che è per la dottrina, si vergognano di graduarsi e farsi chiamar dottori,
bastandogli l'esser dotti. E di questi arrete maggior numero ne le corti, che
ritrovar si possano pedanti nell'Universitade.
77 \ FIL.\ Non vi lagnate, Armesso, perché in
tutti i luoghi, dove son dottori e preti, si trova l'una e l'altra semenza di
quelli; dove quei che sono veramenti dotti e veramente preti, benché promossi
da bassa condizione, non può essere che non sieno inciviliti e nobilitati,
perché la scienza è uno esquisitissimo camino a far l'animo umano eroico. Ma
quegli altri tanto più si mostrano espressamente rustici, quanto par che
vogliano o col divum patero col gigante Salmoneo altitonare, quando se la
spasseggiano da purpurato satiro o fauno con quella spaventosa e imperial
prosopopeia, dopo aver determinato nella catedra regentale a qual declinazione
appartenga lo hic, et haec, et hoc nihil.
78 \ ARM.\ Or lasciamo questi propositi. Che
libro è questo che tenete in mano?
79 \ FIL.\ Son certi dialogi.
80 \ ARM.\ La Cena?
81 \ FIL.\ No.
82 \ ARM.\ Che dunque?
83 \ FIL.\ Altri, ne li quali si tratta De
la causa, principio e uno secondo la via nostra.
84 \ ARM.\ Quali interlocutori? Forse abbiamo
quall'altro diavolo di Frulla o Prudenzio, che di bel nuovo ne mettano in
qualche briga.
85 \ FIL.\ Non dubitate, che, tolto uno, tra
gli altri tutti son suggetti quieti e onestissimi.
86 \ ARM.\ Sì che, secondo il vostro dire,
arremo pure da scardar qualche cosa in questi dialogi ancora?
87 \ FIL.\ Non dubitate, perché più tosto
sarrete grattato dove vi prore, che stuzzicato dove vi duole.
88 \ ARM.\ Pure?
89 \ FIL.\ Qua per uno trovarete quel dotto,
onesto, amorevole, ben creato e tanto fidele amico Alessandro Dicsono, che il
Nolano ama quanto gli occhi suoi; il quale è causa che questa materia sia stata
messa in campo. Lui è introdutto come quello, che porge materia di
considerazione al Teofilo. Per il secondo avete Teofilo, che sono io; che
secondo le occasioni, vegno a distinguere, definire e dimostrare circa la
suggetta materia. Per il terzo avete Gervasio, uomo che non è de la
professione; ma per passatempo vuole esser presente alle nostre conferenze; ed
è una persona che non odora né puzza e che prende per comedia gli fatti di
Poliinnio e da passo in passo gli dona campo di fargli esercitar la pazzia.
Questo sacrilego pedante avete per il quarto: uno de' rigidi censori di
filosofi, onde si afferma Momo, uno affettissimo circa il suo gregge di
scolastici, onde si noma nell'amor socratico; uno, perpetuo nemico del femineo
sesso, onde, per non esser fisico, si stima Orfeo, Museo, Titiro e Anfione.
Questo è un di quelli, che, quando ti arran fatto una bella construzione,
prodotta una elegante epistolina, scroccata una bella frase da la popina
ciceroniana, qua è risuscitato Demostene, qua vegeta Tullio, qua vive Salustio;
qua è un Argo, che vede ogni lettera, ogni sillaba, ogni dizione; qua Radamanto
umbras vocat ille silentum; qua Minoe, re di Creta, urnam movet.
Chiamano all'essamina le orazioni; fanno discussione de le frase, con dire: -
queste sanno di poeta, queste di comico, questa di oratore; questo è grave,
questo è lieve, quello è sublime, quell'altro è humile dicendi genus;
questa orazione è aspera; sarrebe leve, se fusse formata cossì; questo è uno
infante scrittore, poco studioso de la antiquità, non redolet Arpinatem,
desipit Latium. Questa voce non è tosca, non è usurpata da Boccaccio,
Petrarca e altri probati autori. Non si scrive homo, ma omo; non honore, ma
onore; non Polihimnio, ma Poliinnio. - Con questo triomfa, si contenta di sé,
gli piaceno più ch'ogn'altra cosa i fatti suoi: è un Giove, che, da l'alta
specula, remira, e considera la vita degli altri uomini suggetta a tanti errori,
calamitadi, miserie, fatiche inutili. Solo lui è felice, lui solo vive vita
celeste, quando contempla la sua divinità nel specchio d'un Spicilegio,
un Dizionario, un Calepino, un Lessico, un Cornucopia, un
Nizzolio. Con questa sufficienza dotato, mentre ciascuno è uno, lui solo è
tutto. Se avvien che rida si chiama Democrito, s'avvien che si dolga si chiama
Eraclito, se disputa si chiama Crisippo, se discorre si noma Aristotele, se fa
chimere si appella Platone, se mugge un sermoncello se intitula Demostene, se
construisce Virgilio lui è il Marone. Qua correge Achille, approva Enea,
riprende Ettore, esclama contro Pirro, si condole di Priamo, arguisce Turno,
iscusa Didone, comenda Acate; e in fine, mentre verbum verbo reddit e
infilza salvatiche sinonimie, nihil divinum a se alienum putat. E cossì
borioso smontando da la sua catedra, come colui ch'ha disposti i cieli, regolati
i senati, domati eserciti, riformati i mondi, è certo che, se non fusse
l'ingiuria del tempo, farebbe con gli effetti quello che fa con l'opinione. - O
tempora, o mores! Quanti son rari quei che intendeno la natura de'
participi, degli adverbii, delle coniunctioni! Quanto tempo è scorso, che non
s'è trovata la raggione e vera causa, per cui l'adiectivo deve concordare col
sustantivo, il relativo con l'antecedente deve coire, e con che regola ora si
pone avanti, ora addietro de l'orazione; e con che misure e quali ordini vi s'intermesceno
quelle interiezione dolentis, gaudentis, heu, oh, ahi, ah, hem, ohe, hui,
ed altri condimenti, senza i quali tutto il discorso è insipidissimo?
-90 \ ELITR.\ Dite quel che volete, intendetela
come vi piace; io dico, che per la felicità de la vita è meglio stimarsi Creso
ed esser povero, che tenersi povero ed esser Creso. Non è più convenevole alla
beatitudine aver una zucca che ti paia bella e ti contente, che una Leda, una
Elena, che ti dia noia e ti vegna in fastidio? Che dunque importa a costoro
l'essere ignoranti e ignobilmente occupati, se tanto son più felici, quanto
più solamente piaceno a se medesimi? Cossì è buona l'erba fresca a l'asino,
l'orgio al cavallo, come a te il pane di puccia e la perdice; cossì si contenta
il porco de le ghiande e il brodo, come un Giove de l'ambrosia e nettare. Volete
forse toglier costoro da quella dolce pazzia, per la qual cura appresso ti
derrebono rompere il capo? Lascio che, chi sa se è pazzia questa o quella?
Disse un pirroniano: chi conosce se il nostro stato è morte, e quello di quei
che chiamiamo defunti, è vita? Cossì chi sa se tutta la felicità e vera
beatitudine consiste nelle debite copulazioni e apposizioni de' membri
dell'orazioni?
91 \ ARM.\ Cossì è disposto il mondo: noi
facciamo il Democrito sopra gli pedanti e grammatisti, gli solleciti corteggiani
fanno il Democrito sopra di noi, gli poco penserosi monachi e preti
democriteggiano sopra tutti; e reciprocamente gli pedanti si beffano di noi, noi
di corteggiani, tutti degli monachi; e in conclusione, mentre l'uno è pazzo
all'altro, verremo ad esser tutti differenti in specie e concordanti in
genere et numero et casu.
92 \ FIL.\ Diverse per ciò son specie e
maniere de le censure, varii sono gli gradi di quelle, ma le più aspre, dure,
orribili e spaventose son degli nostri archididascali. Però a questi doviamo
piegar le ginocchia, chinar il capo, converter gli occhi ed alzar le mani,
suspirar, lacrimar, esclamare e dimandar mercede. A voi dunque mi rivolgo, o chi
portate in mano il caduceo di Mercurio per decidere ne le controversie, e
determinate le questioni ch'accadeno tra gli mortali e tra gli dei; a voi,
Menippi, che, assisi nel globo de la luna, con gli occhi ritorti e bassi ne
mirate, avendo a schifo e sdegno i nostri gesti; a voi, scudieri di Pallade,
antesignani di Minerva, castaldi di Mercurio, magnarii di Giove, collattanei di
Apollo, manuarii d'Epimeteo, botteglieri di Bacco, agasoni delle Evante,
fustigatori de le Edonide, impulsori delle Tiade, subagitatori delle Menadi,
subornatori delle Bassaridi, equestri delle Mimallonidi, concubinarii della
ninfa Egeria, correttori de l'intusiasmo, demagoghi del popolo errante,
disciferatori di Demogorgone, Dioscori delle fluttuanti discipline, tesorieri
del Pantamorfo, e capri emissarii del sommo pontefice Aron; a voi raccomandiamo
la nostra prosa, sottomettemo le nostre muse, premisse, subsunzioni,
digressioni, parentesi, applicazioni, clausule, periodi, costruzioni,
adiettivazioni, epitetismi. O voi, suavissimi aquarioli, che con le belle
eleganzucchie ne furate l'animo, ne legate il core, ne fascinate la mente, e
mettete in prostribulo le meretricole anime nostre; riferite a buon conseglio i
nostri barbarismi, date di punta a' nostri solecismi, turate le male olide
voragini, castrate i nostri Sileni, imbracate gli nostri Nohemi, fate eunuchi di
nostri macrologi, rappezzate le nostre eclipsi, affrenate gli nostri taftologi,
moderate le nostre acrilogie, condonate a nostre escrilogie, iscusate i nostri
perissologi, perdonate a' nostri cacocefati. Torno a scongiurarvi tutti in
generale, e in particulare te, severo supercilioso e salvaticissimo maestro
Poliinnio, che dismettiate quella rabbia contumace e quell'odio tanto criminale
contra il nobilissimo sesso femenile; e non ne turbate quanto ha di bello il
mondo, e il cielo con suoi tanti occhi scorge. Ritornate, ritornate a voi, e
richiamate l'ingegno, per cui veggiate che questo vostro livore non è altro che
mania espressa e frenetico furore. Chi è più insensato e stupido, che quello
che non vede la luce? Qual pazzia può esser più abietta, che per raggion di
sesso, esser nemico all'istessa natura, come quel barbaro re di Sarza, che, per
aver imparato da voi, disse:
Natura non può far cosa perfetta
Poi che natura femina vien detta.
93 Considerate alquanto il vero, alzate
l'occhio a l'albore de la scienza del bene e il male, vedete la contrarietà ed
opposizione ch'è tra l'uno e l'altro. Mirate chi sono i maschi, chi sono le
femine. Qua scorgete per suggetto il corpo, ch'è vostro amico, maschio, là
l'anima che è vostra nemica, femina. Qua il maschio caos, là la femina
disposizione; qua il sonno, là la vigilia; qua il letargo, là la memoria; qua
l'odio, là l'amicizia; qua il timore, là la sicurtà; qua il rigore, là la
gentilezza; qua il scandalo, là la pace; qua il furore, là la quiete; qua
l'errore, là la verità; qua il difetto, là la perfezione; qua l'inferno, là
la felicità; qua Poliinnio pedante, là Poliinnia musa. E finalmente tutti
vizii, mancamenti e delitti son maschi; e tutte le virtudi, eccellenze e bontadi
son femine. Quindi la prudenza, la giustizia, la fortezza, la temperanza, la
bellezza, la maestà, la dignità, la divinità, cossì si nominano, cossì s'imaginano,
cossì si descriveno, cossì si pingono, cossì sono. E per uscir da queste
raggioni teoriche, nozionali e grammaticali, convenienti al vostro argumento, e
venire alle naturali, reali e prattiche: non ti deve bastar questo solo essempio
a ligarti la lingua, e turarti la bocca, che ti farà confuso con quanti altri
sono tuoi compagni, se ti dovesse mandare a ritrovare un maschio megliore o
simile a questa Diva Elizabetta, che regna in Inghilterra; la quale, per esser
tanto dotata, esaltata, faurita, difesa e mantenuta da' cieli, in vano si
forzaranno di desmetterla l'altrui paroli o forze? A questa dama, dico, di cui
non è chi sia più degno in tutto il regno, non è chi sia più eroico tra'
nobili, non è chi sia più dotto tra' togati, non è chi sia più saggio tra'
consulari? In comparazion de la quale, tanto per la corporal beltade, tanto per
la cognizion de lingue da volgari e dotti, tanto per la notizia de le scienze ed
arti, tanto per la prudenza nel governare, tanto per la felicitade di grande e
lunga autoritade, quanto per tutte l'altre virtudi civili e naturali, vilissime
sono le Sofonisbe, le Faustine, le Semirami, le Didoni, le Cleopatre ed altre
tutte, de quali gloriar si possano l'Italia, la Grecia, l'Egitto e altre parti
de l'Europa ed Asia per gli passati tempi? Testimoni mi sono gli effetti e il
fortunato successo, che non senza nobil maraviglia rimira il secolo presente;
quando nel dorso de l'Europa, correndo irato il Tevere, minaccioso il Po,
violento il Rodano, sanguinosa la Senna, turbida la Garonna, rabbioso l'Ebro,
furibondo il Tago, travagliata la Mosa, inquieto il Danubio; ella col splendor
degli occhi suoi, per cinque lustri e più s'ha fatto tranquilla il grande
Oceano, che col continuo reflusso e flusso lieto e quieto accoglie nell'ampio
seno il suo diletto Tamesi; il quale, fuor d'ogni tema e noia, sicuro e gaio si
spasseggia, mentre serpe e riserpe per l'erbose sponde. Or dunque, per cominciar
da capo, quali....
94 \ ARM.\ Taci, taci, Filoteo non ti forzar di
gionger acqua al nostro Oceano e lume al nostro sole: lascia di mostrarti
abstratto, per non dirti peggio, disputando con gli absenti Poliinnii. Fatene un
poco copia di questi presenti dialogi, a fine che non meniamo ocioso questo
giorno e ore.
95 \ TEOF.\ Prendete, leggete.
\ DIC.\ Di grazia, maestro
Poliinnio, e tu, Gervasio, non interrompete oltre i nostri discorsi.
2 \ POL.\ Fiat.
3 \ GERV.\ Se costui, che è il magister,
parla, senza dubio io non posso tacere.
4 \ DIC.\ Sì che dite, Teofilo, che ogni cosa,
che non è primo principio e prima causa, ha principio ed ha causa?
5 \ TEOF.\ Senza dubio e senza controversia
alcuna.
6 \ DIC.\ Credete per questo, che chi conosce
le cose causate e principiate, conosca la causa e principio?
7 \ TEOF.\ Non facilmente la causa prossima e
principio prossimo, difficilissimamente, anco in vestigio, la causa principio
primo.
8 \ DIC.\ Or come intendete che le cose, che
hanno causa e principio primo e prossimo, siano veramente conosciute, se,
secondo la raggione della causa efficiente (la quale è una di quelle che
concorreno alla real cognizione de le cose), sono occolte?
9 \ TEOF.\ Lascio che è facil cosa ordinare la
dottrina demostrativa, ma il demostrare è difficile; agevolissima cosa è
ordinare le cause, circostanze e metodi di dottrine; ma poi malamente gli nostri
metodici e analitici metteno in esecuzione i loro organi, principii di metodi ed
arti de le arti.
10 \ GERV.\ Come quei che san far sì belle
spade, ma non le sanno adoperare.
11 \ POL.\ Ferme.
12 \ GERV.\ Fermàti te siano gli occhi, che
mai le possi aprire.
13 \ TEOF.\ Dico però che non si richiede dal
filosofo naturale che ammeni tutte le cause e principii; ma le fisiche sole, e
di queste le principali e proprie. Benché dunque, perché dependeno dal primo
principio e causa, si dicano aver quella causa e quel principio, tuttavolta non
è sì necessaria relazione, che da la cognizione de l'uno s'inferisca la
cognizione de l'altro. E però non si richiede che vengano ordinati in una
medesma disciplina.
14 \ DIC.\ Come questo?
15 \ TEOF.\ Perché dalla cognizione di tutte
cose dependenti non possiamo inferire altra notizia del primo principio e causa
che per modo men efficace che di vestigio, essendo che il tutto deriva dalla sua
volontà o bontà, la quale è principio della sua operazione, da cui procede
l'universale effetto. Il che medesmo si può considerare ne le cose artificiali,
in tanto che chi vede la statua, non vede il scultore; chi vede il ritratto di
Elena, non vede Apelle, ma vede lo effetto de l'operazione che proviene da la
bontà de l'ingegno d'Apelle, il che tutto è uno effetto degli accidenti e
circostanze de la sustanza di quell'uomo, il quale, quanto al suo essere
assoluto, non è conosciuto punto.
16 \ DIC.\ Tanto che conoscere l'universo, è
come conoscer nulla dello essere e sustanza del primo principio, perché è come
conoscere gli accidenti degli accidenti.
17 \ TEOF.\ Cossì; ma non vorei che v'imaginaste
ch'io intenda in Dio essere accidenti, o che possa esser conosciuto come per
suoi accidenti.
18 \ DIC.\ Non vi attribuisco sì duro ingegno;
e so che altro è dire essere accidenti, altro essere suoi accidenti, altro
essere come suoi accidenti ogni cosa che è estranea dalla natura divina.
Nell'ultimo modo di dire credo che intendete essere gli effetti della divina
operazione; li quali, quantunque siano la sustanza de le cose, anzi e l'istesse
sustanze naturali, tuttavolta sono come accidenti remotissimi, per farne toccare
la cognizione appreensiva della divina soprannaturale essenza.
19 \ TEOF.\ Voi dite bene.
20 \ DIC.\ Ecco dunque, che della divina
sustanza, sì per essere infinita sì per essere lontanissima da quelli effetti
che sono l'ultimo termine del corso della nostra discorsiva facultade, non
possiamo conoscer nulla, se non per modo di vestigio, come dicono i platonici,
di remoto effetto, come dicono i peripatetici, di indumenti, come dicono i
cabalisti, di spalli o posteriori, come dicono i thalmutisti, di spechio, ombra
ed enigma, come dicono gli apocaliptici.
21 \ TEOF.\ Anzi di più: perché non veggiamo
perfettamente questo universo di cui la sustanza e il principale è tanto
difficile ad essere compreso, avviene che assai con minor raggione noi
conosciamo il primo principio e causa per il suo effetto, che Apelle per le sue
formate statue possa esser conosciuto; perché queste le possiamo veder tutte ed
essaminar parte per parte, ma non già il grande e infinito effetto della divina
potenza. Però quella similitudine deve essere intesa senza proporzional
comparazione.
22 \ DIC.\ Cossì è, e cossì la intendo.
23 \ TEOF.\ Sarà dunque bene d'astenerci da
parlar di sì alta materia.
24 \ DIC.\ Io lo consento, perché basta
moralmente e teologalmente conoscere il primo principio in quanto che i superni
numi hanno revelato e gli uomini divini dechiarato. Oltre che, non solo
qualsivoglia legge e teologia, ma ancora tutte riformate filosofie conchiudeno
esser cosa da profano e turbulento spirto il voler precipitarsi a dimandar
raggione e voler definire circa quelle cose che son sopra la sfera della nostra
intelligenza.
25 \ TEOF.\ Bene. Ma non tanto son degni di
riprensione costoro, quanto son degnissimi di lode quelli che si forzano alla
cognizione di questo principio e causa, per apprendere la sua grandezza quanto
fia possibile discorrendo con gli occhi di regolati sentimenti circa questi
magnifici astri e lampeggianti corpi, che son tanti abitati mondi e grandi
animali ed eccellentissimi numi, che sembrano e sono innumerabili mondi non
molto dissimili a questo che ne contiene; i quali, essendo impossibile
ch'abbiano l'essere da per sé, atteso che sono composti e dissolubili (benché
non per questo siano degni d'esserno disciolti, come è stato ben detto nel Timeo,
è necessario che conoscano principio e causa, e consequentemente con la
grandezza del suo essere, vivere ed oprare: monstrano e predicano in uno spacio
infinito, con voci innumerabili, la infinita eccellenza e maestà del suo primo
principio e causa. Lasciando dunque, come voi dite, quella considerazione per
quanto è superiore ad ogni senso e intelletto, consideriamo del principio e
causa per quanto, in vestigio, o è la natura istessa o pur riluce ne l'ambito e
grembo di quella. Voi dunque dimandatemi per ordine, se volete ch'io per ordine
vi risponda.
26 \ DIC.\ Cossì farò. Ma primamente, perché
usate dir causa e principio, vorei saper se questi son tolti da voi come nomi
sinonimi?
27 \ TEOF.\ Non.
28 \ DIC.\ Or dunque, che differenza è tra
l'uno e l'altro termino?
29 \ TEOF.\ Rispondo, che, quando diciamo Dio
primo principio e prima causa, intendiamo una medesma cosa con diverse raggioni;
quando diciamo nella natura principii e cause, diciamo diverse cose con sue
diverse raggioni. Diciamo Dio primo principio, in quanto tutte cose sono dopo
lui, secondo certo ordine di priore e posteriore, o secondo la natura, o secondo
la durazione, o secondo la dignità. Diciamo Dio prima causa, in quanto che le
cose tutte son da lui distinte come lo effetto da l'efficiente, la cosa prodotta
dal producente. E queste due raggioni son differenti, perché non ogni cosa, che
è priore e più degna, è causa di quello ch'è posteriore e men degno; e non
ogni cosa che è causa, è priore e più degna di quello che è causato, come è
ben chiaro a chi ben discorre.
30 \ DIC.\ Or dite in proposito naturale, che
differenza è tra causa e principio?
31 \ TEOF.\ Benché alle volte l'uno si usurpa
per l'altro, nulladimeno, parlando propriamente, non ogni cosa che è principio,
è causa, perché il punto è principio della linea, ma non è causa di quella;
l'instante è principio dell'operazione; il termine onde è principio del moto e
non causa del moto; le premisse son principio dell'argumentazione, non son causa
di quella. Però principio è più general termino che causa.
32 \ DIC.\ Dunque, strengendo questi doi
termini a certe proprie significazioni, secondo la consuetudine di quei che
parlano più riformatamente, credo che vogliate che principio sia quello che
intrinsecamente concorre alla constituzione della cosa e rimane nell'effetto,
come dicono la materia e forma, che rimangono nel composto, o pur gli elementi
da' quali la cosa viene a comporsi e ne' quali va a risolversi. Causa chiami
quella che concorre alla produzione delle cose esteriormente, ed ha l'essere
fuor de la composizione, come è l'efficiente e il fine, al qual è ordinata la
cosa prodotta.
33 \ TEOF.\ Assai bene.
34 \ DIC.\ Or poi che siamo risoluti de la
differenza di queste cose, prima desidero che riportiate la vostra intenzione
circa le cause, e poi circa gli principii. E quanto alle cause, prima vorei
saper della efficiente prima; della formale che dite esser congionta
all'efficiente; oltre, della finale, la quale se intende motrice di questa.
35 \ TEOF.\ Assai mi piace il vostro ordine di
proponere. Or, quanto alla causa effettrice, dico l'efficiente fisico universale
essere l'intelletto universale, che è la prima e principal facultà de l'anima
del mondo, la quale è forma universale di quello.
36 \ DIC.\ Mi parete essere non tanto conforme
all'opinione di Empedocle, quanto più sicuro, più distinto e più esplicato;
oltre, per quanto la soprascritta mi fa vedere, più profondo. Però ne farete
cosa grata di venire alla dechiarazion del tutto per il minuto, cominciando dal
dire che cosa sia questo intelletto universale.
37 \ TEOF.\ L'intelletto universale è
l'intima, più reale e propria facultà e parte potenziale de l'anima del mondo.
Questo è uno medesmo, che empie il tutto, illumina l'universo e indrizza la
natura a produre le sue specie come si conviene; e cossì ha rispetto alla
produzione di cose naturali, come il nostro intelletto alla congrua produzione
di specie razionali. Questo è chiamato da' pitagorici motore ed esagitator de
l'universo, come esplicò il Poeta, che disse: totamque infusa per artus Mens
agitat molem, et toto se corpore miscet.
38 Questo è nomato da' platonici fabro del
mondo. Questo fabro, dicono, procede dal mondo superiore, il quale è a fatto
uno, a questo mondo sensibile, che è diviso in molti; ove non solamente la
amicizia, ma anco la discordia, per la distanza de le parti, vi regna. Questo
intelletto, infondendo e porgendo qualche cosa del suo nella materia,
mantenendosi lui quieto e inmobile, produce il tutto. È detto da' maghi
fecondissimo de semi, o pur seminatore; perché lui è quello che impregna la
materia di tutte forme e, secondo la raggione e condizion di quelle, la viene a
figurare, formare, intessere con tanti ordini mirabili, li quali non possono
attribuirsi al caso, né ad altro principio che non sa distinguere e ordinare.
Orfeo lo chiama occhio del mondo, per ciò che il vede entro e fuor tutte le
cose naturali, a fine che tutto non solo intrinseca, ma anco estrinsecamente
venga a prodursi e mantenersi nella propria simmetria. Da Empedocle è chiamato
distintore, come quello che mai si stanca nell'esplicare le forme confuse nel
seno della materia e di suscitar la generazione de l'una dalla corrozion de
l'altra cosa. Plotino lo dice padre e progenitore, perché questo distribuisce
gli semi nel campo della natura, ed è il prossimo dispensator de le forme. Da
noi si chiama artefice interno, perché forma la materia e la figura da dentro,
come da dentro del seme o radice manda ed esplica il stipe; da dentro il stipe
caccia i rami; da dentro i rami le formate brance; da dentro queste ispiega le
gemme; da dentro forma, figura, intesse, come di nervi, le frondi, gli fiori,
gli frutti; e da dentro, a certi tempi, richiama gli suoi umori da le frondi e
frutti alle brance, da le brance agli rami, dagli rami al stipe, dal stipe alla
radice. Similmente negli animali spiegando il suo lavore dal seme prima, e dal
centro del cuore a li membri esterni, e da quelli al fine complicando verso il
cuore l'esplicate facultadi, fa come già venesse a ringlomerare le già distese
fila. Or, se credemo non essere senza discorso e intelletto prodotta quell'opra
come morta, che noi sappiamo fengere con certo ordine e imitazione ne la
superficie della materia, quando, scorticando e scalpellando un legno, facciamo
apparir l'effige d'un cavallo; quanto credere dobbiamo esser maggior quel
intelletto artefice, che da l'intrinseco della seminal materia risalda l'ossa,
stende le cartilagini, incava le arterie, inspira i pori, intesse le fibre,
ramifica gli nervi, e con sì mirabile magistero dispone il tutto? Quanto, dico,
più grande artefice è questo, il quale non è attaccato ad una sola parte de
la materia, ma opra continuamente tutto in tutto? Son tre sorte de intelletto;
il divino che è tutto, questo mundano che fa tutto, gli altri particolari che
si fanno tutto; perché bisogna che tra gli estremi se ritrove questo mezzo, il
quale è vera causa efficiente, non tanto estrinseca come anco intrinseca, de
tutte cose naturali.
39 \ DIC.\ Vi vorei veder distinguere come lo
intendete causa estrinseca e come intrinseca.
40 \ TEOF.\ Lo chiamo causa estrinseca,
perché, come efficiente, non è parte de li composti e cose produtte. È causa
intrinseca, in quanto che non opra circa la materia e fuor di quella, ma, come
è stato poco fa detto. Onde è causa estrinseca per l'esser suo distinto dalla
sustanza ed essenza degli effetti, e perché l'essere suo non è come di cose
generabili e corrottibili, benché verse circa quelle; è causa intrinseca
quanto a l'atto della sua operazione.
41 \ DIC.\ Mi par ch'abbiate a bastanza parlato
della causa efficiente. Or vorei intendere che cosa è quella che volete sia la
causa formale gionta all'efficiente: è forse la raggione ideale? Perché ogni
agente che opra secondo la regola intellettuale, non procura effettuare se non
secondo qualche intenzione; e questa non è senza apprensione di qualche cosa; e
questa non è altro che la forma de la cosa che è da prodursi: e per tanto
questo intelletto, che ha facultà di produre tutte le specie e cacciarle con
sì bella architettura dalla potenza della materia a l'atto, bisogna che le
preabbia tutte secondo certa raggion formale, senza la quale l'agente non
potrebe procedere alla sua manifattura; come al statuario non è possibile d'essequir
diverse statue senza aver precogitate diverse forme prima.
42 \ TEOF.\ Eccellentemente la intendete,
perché voglio che siano considerate due sorte di forme: l'una, la quale è
causa, non già efficiente, ma per la quale l'efficiente effettua; l'altra è
principio, la quale da l'efficiente è suscitata da la materia.
43 \ DIC.\ Il scopo e la causa finale, la qual
si propone l'efficiente, è la perfezion dell'universo; la quale è che.in
diverse parti della materia tutte le forme abbiano attuale esistenza: nel qual
fine tanto si deletta e si compiace l'intelletto, che mai si stanca suscitando
tutte sorte di forme da la materia, come par che voglia ancora Empedocle.
44 \ TEOF.\ Assai bene. E giongo a questo che,
sicome questo efficiente è universale nell'universo ed è speciale e
particulare nelle parti e membri di quello, cossì la sua forma e il suo fine.
45 \ DIC.\ Or assai è detto delle cause;
procediamo a raggionar de gli principii.
46 \ TEOF.\ Or, per venire a li principii
constitutivi de le cose, prima raggionarò de la forma per esser medesma in
certo modo con la già detta causa efficiente; per che l'intelletto che è una
potenza de l'anima del mondo, è stato detto efficiente prossimo di tutte cose
naturali.
47 \ DIC.\ Ma come il medesmo soggetto può
essere principio e causa di cose naturali? Come può aver raggione di parte
intrinseca, e non di parte estrinseca?
48 \ TEOF.\ Dico che questo non è
inconveniente, considerando che l'anima è nel corpo come nocchiero nella nave.
Il qual nocchiero, in quanto vien mosso insieme con la nave, è parte di quella;
considerato in quanto che la governa e muove, non se intende parte, ma come
distinto efficiente. Cossì l'anima de l'universo, in quanto che anima e
informa, viene ad esser parte intrinseca e formale di quello; ma, come che
drizza e governa, non è parte, non ha raggione di principio, ma di causa.
Questo ne accorda l'istesso Aristotele; il qual, quantunque neghi l'anima aver
quella raggione verso il corpo, che ha il nocchiero alla nave, tuttavolta,
considerandola secondo quella potenza con la quale intende e sape, non ardisce
di nomarla atto e forma di corpo; ma, come uno efficiente, separato dalla
materia secondo l'essere, dice che quello è cosa che viene di fuora, secondo la
sua subsistenza, divisa dal composto.
49 \ DIC.\ Approvo quel che dite, perché, se
l'essere separata dal corpo alla potenza intellettiva de l'anima nostra
conviene, e lo aver raggione di causa efficiente, molto più si deve affirmare
dell'anima del mondo; Perché dice Plotino, scrivendo contra gli Gnostici, che
"con maggior facilità l'anima del mondo regge l'universo, che l'anima
nostra il corpo nostro"; poscia è gran differenza dal modo con cui quella
e questa governa. Quella, non come alligata, regge il mondo di tal sorte che la
medesma non leghi ciò che prende; quella non patisce da l'altre cose né con
l'altre cose; quella senza impedimento s'inalza alle cose superne; quella,
donando la vita e perfezione al corpo, non riporta da esso imperfezione alcuna;
e però eternamente è congionta al medesmo soggetto. Questa poi è manifesto
che è di contraria condizione. Or se, secondo il vostro principio, le
perfezioni che sono nelle nature inferiori, più altamente denno essere
attribuite e conosciute nelle nature superiori, doviamo senza dubio alcuno
affirmare la distinzione che avete apportata. Questo non solo viene affirmato ne
l'anima del mondo, ma anco de ciascuna stella, essendo, come il detto filosofo
vole, che tutte hanno potenza di contemplare Idio, gli principii di tutte le
cose e la distribuzione degli ordini de l'universo; e vole che questo non accade
per modo di memoria, di discorso e considerazione, perché ogni lor opra è opra
eterna, e non è atto che gli possa esser nuovo, e però niente fanno che non
sia al tutto condecente, perfetto, con certo e prefisso ordine, senza atto di
cogitazione; come, per essempio di un perfetto scrittore e citarista, mostra
ancora Aristotele, quando, per questo che la natura non discorre e ripensa, non
vuole che si possa conchiudere che ella opra senza intelletto e intenzion
finale, perché li musici e scrittori esquisiti meno sono attenti a quel che
fanno, e non errano come gli più rozzi ed inerti, gli quali, con più pensarvi
e attendervi, fanno l'opra men perfetta e anco non senza errore.
50 \ TEOF.\ La intendete. Or venemo al più
particolare. Mi par che detraano alla divina bontà e all'eccellenza di questo
grande animale e simulacro del primo principio, quelli che non vogliono
intendere né affirmare il mondo con gli suoi membri essere animato, come Dio
avesse invidia alla sua imagine, come l'architetto non amasse l'opra sua
singulare; di cui dice Platone, che si compiacque nell'opificio suo, per la sua
similitudine che remirò in quello. E certo che cosa può più bella di questo
universo presentarsi agli occhi della divinità? ed essendo che quello costa di
sue parti, a quali di esse si deve più attribuire che al principio formale?
Lascio a meglio e più particolar discorso mille raggioni naturali oltre questa
topicale o logica.
51 \ DIC.\ Non mi curo che vi sforziate in
ciò, atteso non è filosofo di qualche riputazione, anco tra' peripatetici, che
non voglia il mondo e le sue sfere essere in qualche modo animate. Vorei ora
intendere, con che modo volete da questa forma venga ad insinuarsi alla materia
de l'universo.
52 \ TEOF.\ Se gli gionge di maniera che la
natura del corpo, la quale secondo sé non è bella, per quanto è capace viene
a farsi partecipe di bellezza, atteso che non è bellezza se non consiste in
qualche specie o forma, non è forma alcuna che non sia prodotta da l'anima.
53 \ DIC.\ Mi par udir cosa molto nova: volete
forse che non solo la forma de l'universo, ma tutte quante le forme di cose
naturali siano anima?
54 \ TEOF.\ Sì.
55 \ DIC.\ Sono dunque tutte le cose animate?
56 \ TEOF.\ Sì.
57 \ DIC.\ Or chi vi accordarà questo?
58 \ TEOF.\ Or chi potrà riprovarlo con
raggione?
59 \ DIC.\ È comune senso che non tutte le
cose vivono.
60 \ TEOF.\ Il senso più comune non è il più
vero.
61 \ DIC.\ Credo facilmente che questo si può
difendere. Ma non bastarà a far una cosa vera perché la si possa difendere,
atteso che bisogna che si possa anco provare.
62 \ TEOF.\ Questo non è difficile. Non son
de' filosofi che dicono il mondo essere animato?
63 \ DIC.\ Son certo molti, e quelli
principalissimi.
64 \ TEOF.\ Or perché gli medesmi non diranno
le parti tutte.del mondo essere animate?
65 \ DIC.\ Lo dicono certo, ma de le parti
principali, e quelle che son vere parti del mondo; atteso che non in minor
raggione vogliono l'anima essere tutta in tutto il mondo, e tutta in
qualsivoglia parte di quello, che l'anima degli animali, a noi sensibili, è
tutta per tutto.
66 \ TEOF.\ Or quali pensate voi, che non siano
parti del mondo vere?
67 \ DIC.\ Quelle che non son primi corpi, come
dicono i peripatetici: la terra con le acqui e altre parti, le quali, secondo il
vostro dire, constituiscono l'animale intiero: la luna, il sole, e altri corpi.
Oltre questi principali animali, son quei che non sono primere parti de
l'universo, de quali altre dicono aver l'anima vegetativa, altre la sensitiva,
altre la intellettiva.
68 \ TEOF.\ Or, se l'anima per questo che è
nel tutto, è anco ne le parti, perché non volete che sia ne le parti de le
parti?
69 \ DIC.\ Voglio, ma ne le parti de le parti
de le cose animate.
70 \ TEOF.\ Or quali son queste cose, che non
sono animate, o non son parte di cose animate?
71 \ DIC.\ Vi par che ne abbiamo poche avanti
gli occhi? Tutte le cose che non hanno vita.
72 \ TEOF.\ E quali son le cose che non hanno
vita, almeno principio vitale?
73 \ DIC.\ Per conchiuderla, volete voi che non
sia cosa che non abbia anima, e che non abbia principio vitale?
74 \ TEOF.\ Questo è quel ch'io voglio al
fine.
75 \ POL.\ Dunque, un corpo morto ha anima?
dunque, i miei calopodii, le mie pianella, le mie botte, gli miei proni e il mio
annulo e chiroteche serano animate? la mia toga e il mio pallio sono animati?
76 \ GERV.\ Sì, messer sì, mastro Poliinnio,
perché non? Credo bene che la tua toga e il tuo mantello è bene animato,
quando contiene un animal, come tu sei, dentro; le botte e gli sproni sono
animati, quando contengono gli piedi; il cappello è animato, quando contiene il
capo, il quale non è senza anima; e la stalla è anco animata quando contiene
il cavallo, la mula over la Signoria Vostra. Non la intendete cossì, Teofilo?
non vi par ch'io l'ho compresa meglio che il dominus magister?
77 \ POL.\ Cuium pecus? come che non si
trovano degli asini etiam atque etiam sottili? hai ardir tu, apirocalo,
abecedario, di volerti equiparare ad un archididascalo e moderator di ludo
minervale par mio?
78 \ GERV.\ Pax vobis, domine magister,
servus servorum et scabellum pedum tuorum.
79 \ POL.\ Maledicat te Deus in secula
seculorum.
80 \ DIC.\ Senza còlera: lasciatene determinar
queste cose a noi.
81 \ POL.\ Prosequatur ergo sua dogmata
Theophilus.
82 \ TEOF.\ Cossì farò. Dico dunque, che la
tavola come tavola non è animata, né la veste, né il cuoio come cuoio, né il
vetro come vetro; ma, come cose naturali e composte, hanno in sé la materia e
la forma. Sia pur cosa quanto piccola e minima si voglia, ha in sé parte di
sustanza spirituale; la quale, se trova il soggetto disposto, si stende ad esser
pianta, ad esser animale, e riceve membri di qualsivoglia corpo che comunmente
se dice animato: perché spirto si trova in tutte le cose, e non è minimo
corpusculo che non contegna cotal porzione in sé che non inanimi.
83 \ POL.\ Ergo, quidquid est, animal est.
84 \ TEOF.\ Non tutte le cose che hanno anima
si chiamano animate.
85 \ DIC.\ Dunque, almeno, tutte le cose han
vita?
86 \ TEOF.\ Concedo che tutte le cose hanno in
sé anima, hanno vita, secondo la sustanza e non secondo l'atto ed operazione
conoscibile da' peripatetici tutti, e quelli che la vita e anima definiscono
secondo certe raggioni troppo grosse.
87 \ DIC.\ Voi mi scuoprite qualche modo
verisimile con il quale si potrebe mantener l'opinion d'Anaxagora; che voleva
ogni cosa essere in ogni cosa, perché, essendo il spirto o anima o forma
universale in tutte le cose, da tutto si può produr tutto.
88 \ TEOF.\ Non dico verisimile, ma vero;
perché quel spirto si trova in tutte le cose, le quali, se non sono animali,
sono animate; se non sono secondo l'atto sensibili d'animalità e vita, son
però secondo il principio e certo atto primo d'animalità e vita. E non dico di
vantaggio, perché voglio supersedere circa la proprietà di molti lapilli e
gemme; le quali, rotte e recise e poste in pezzi disordinati, hanno certe virtù
di alterar il spirto ed ingenerar novi affetti e passioni ne l'anima, non solo
nel corpo. E sappiamo noi che tali effetti non procedeno, né possono provenire
da qualità puramente materiale, ma necessariamente si riferiscono a principio
simbolico vitale e animale; oltre che il medesmo veggiamo sensibilmente ne'
sterpi e radici smorte, che, purgando e congregando gli umori, alterando gli
spirti, mostrano necessariamente effetti di vita. Lascio che non senza caggione
li necromantici sperano effettuar molte cose per le ossa de' morti; e credeno
che quelle ritegnano, se non quel medesmo, un tale però e quale atto di vita,
che gli viene a proposito a effetti estraordinarii. Altre occasioni mi faranno
più a lungo discorrere circa la mente, il spirto, l'anima, la vita che penetra
tutto, è in tutto e move tutta la materia; empie il gremio di quella, e la
sopravanza più tosto che da quella è sopravanzata, atteso che la sustanza
spirituale dalla materiale non può essere superata, ma più tosto la viene a
contenere.
89 \ DIC.\ Questo mi par conforme non solo al
senso di Pitagora, la cui sentenza recita il Poeta, quando dice:
Principio caelum ac terras camposque liquentes,
Lucentemque globum lunae Titaniaque astra
Spiritus intus alit, totamque infusa per artus
Mens agitat molem, totoque se corpore miscet;
ma ancora al senso del teologo, che dice: "il spirito colma ed empie la
terra, e quello che contiene il tutto". E un altro, parlando forse del
commercio della forma con la materia e la potenza, dice che è sopravanzata da
l'atto e da.la forma.
90 \ TEOF.\ Se dunque il spirto, la anima, la
vita si ritrova in tutte le cose e, secondo certi gradi, empie tutta la materia;
viene certamente ad essere il vero atto e la vera forma de tutte le cose.
L'anima, dunque, del mondo è il principio formale constitutivo de l'universo e
di ciò che in quello si contiene. Dico che, se la vita si trova in tutte le
cose, l'anima viene ad esser forma di tutte le cose: quella per tutto è
presidente alla materia e signoreggia nelli composti, effettua la composizione e
consistenzia de le parti. E però la persistenza non meno par che si convegna a
cotal forma, che a la materia. Questa intendo essere una di tutte le cose; la
qual però, secondo la diversità delle disposizioni della materia e secondo la
facultà de' principii materiali attivi e passivi, viene a produr diverse
figurazioni, ed effettuar diverse facultadi, alle volte mostrando effetto di
vita senza senso, talvolta effetto di vita e senso senza intelletto, talvolta
par ch'abbia tutte le facultadi suppresse e reprimute o dalla imbecillità o da
altra raggione de la materia. Cossì, mutando questa forma sedie e
vicissitudine, è impossibile che se annulle, perché non è meno subsistente la
sustanza spirituale che la materiale. Dunque le formi esteriori sole si cangiano
e si annullano ancora, perché non sono cose ma de le cose, non sono sustanze,
ma de le sustanze sono accidenti e circostanze.
91 \ POL.\ Non entia sed entium.
92 \ DIC.\ Certo, se de le sustanze
s'annullasse qualche cosa, verrebe ad evacuarse il mondo.
93 \ TEOF.\ Dunque abbiamo un principio
intrinseco formale, eterno e subsistente, incomparabilmente megliore di quello
ch'han finto gli sofisti che versano circa gli accidenti, ignoranti della
sustanza de le cose, e che vengono a ponere le sustanze corrottibili, perché
quello chiamano massimamente, primamente e principalmente sustanza, che resulta
da la composizione; il che non è altro ch'uno accidente, che non contiene in
sé nulla stabilità e verità, e se risolve in nulla. Dicono quello esser
veramente omo che resulta dalla composizione; quello essere veramente anima che
è o perfezione ed atto di corpo vivente, o pur cosa che resulta da certa
simmetria di complessione e membri. Onde non è maraviglia se fanno tanto e
prendeno tanto spavento per la morte e dissoluzione, come quelli a' quali è
imminente la iattura de l'essere. Contra la qual pazzia crida ad alte voci la
natura, assicurandoci che non gli corpi né l'anima deve temer la morte, perché
tanto la materia quanto la forma sono principii constantissimi:
O genus attonitum gelidae formidine mortis,
Quid Styga, quid tenebras et nomina vana timetis
Materiam vatum falsique pericula mundi?
Corpora sive rogus flamma seu tabe vetustas
Abstulerit, mala posse pati non ulla putetis:
Morte carent animae domibus habitantque receptae.
Omnia mutantur, nihil interit.
94 \ DIC.\ Conforme a questo mi par che dica il
sapientissimo.stimato tra gli Ebrei Salomone: Quid est quod est? Ipsum quod
fuit. Quid est quod fuit? Ipsum quod est. Nihil sub sole novum. - Sì che
questa forma, che voi ponete, non è inesistente e aderente a la materia secondo
l'essere, non depende dal corpo e da la materia a fine che subsista?
95 \ TEOF.\ Cossì è. E oltre ancora non
determino se tutta la forma è accompagnata da la materia, cossì come già
sicuramente dico de la materia non esser parte che a fatto sia destituita da
quella, eccetto compresa logicamente, come da Aristotele, il quale mai si stanca
di dividere con la raggione quello che è indiviso secondo la natura e verità.
96 \ DIC.\ Non volete che sia altra forma che
questa eterna compagna de la materia?
97 \ TEOF.\ E più naturale ancora, che è la
forma materiale, della quale raggionaremo appresso. Per ora notate questa
distinzione de la forma, che è una sorte di forma prima, la quale informa, si
estende e depende; e questa, perché informa il tutto, è in tutto; e perché la
si stende, comunica la perfezione del tutto alle parti; e perché la dipende e
non ha operazione da per sé, viene a communicar la operazion del tutto alle
parti; similmente il nome e l'essere. Tale è la forma materiale, come quella
del fuoco; perché ogni parte del fuoco scalda, si chiama fuoco, ed è fuoco.
Secondo, è un'altra sorte di forma, la quale informa e depende, ma non si
stende; e tale, perché fa perfetto e attua il tutto, è nel tutto e in ogni
parte di quello; perché non si stende, avviene che l'atto del tutto non
attribuisca a le parti; perché depende, l'operazione del tutto comunica a le
parti. E tale è l'anima vegetativa e sensitiva, perché nulla parte de
l'animale è animale, e nulladimeno ciascuna parte vive e sente. Terzo, è
un'altra sorte di forma, la quale attua e fa perfetto il tutto, ma non si
stende, né depende quanto a l'operazione. Questa perché attua e fa perfetto,
è nel tutto, e in tutto e in ogni parte; perché la non si stende, la
perfezione del tutto non attribuisce a le parti; perché non depende, non
comunica l'operazione. Tale è l'anima per quanto può esercitar la potenza
intellettiva, e si chiama intellettiva; la quale non fa parte alcuna de l'uomo
che si possa nomar uomo, né sia uomo, né si possa dir che intenda. Di queste
tre specie la prima è materiale, che non si può intendere, né può essere
senza materia; l'altre due specie (le quali in fine concorreno a uno, secondo la
sustanza ed essere, e si distingueno secondo il modo che sopra abbiamo detto)
denominiamo quel principio formale, il quale è distinto dal principio
materiale.
98 \ DIC.\ Intendo.
99 \ TEOF.\ Oltre di questo voglio che si
avertisca che, benché, parlando secondo il modo comune, diciamo che sono cinque
gradi de le forme: cioè di elemento, misto, vegetale, sensitivo e intellettivo;
non lo intendiamo però secondo l'intenzion volgare; perché questa distinzione
vale secondo l'operazioni che appaiono e procedono dagli suggetti, non secondo
quella raggione de l'essere primario e fondamentale di quella forma e vita
spirituale, la quale medesma empie tutto, e non secondo il medesmo modo.
100 \ DIC.\ Intendo. Tanto che questa forma,
che voi ponete per principio, è forma subsistente, constituisce specie
perfetta, è in proprio geno, e non è parte di specie, come quella
peripatetica.
101 \ TEOF.\ Cossì è.
102 \ DIC.\ La distinzione de le forme nella
materia non è secondo le accidentali disposizioni che dependeno da la forma
materiale.
103 \ TEOF.\ Vero.
104 \ DIC.\ Onde anco questa forma separata non
viene essere moltiplicata secondo il numero, perché ogni multiplicazione
numerale depende da la materia.
105 \ TEOF.\ Sì.
106 \ DIC.\ Oltre, in sé invariabile,
variabile poi per li soggetti e diversità di materie. E cotal forma, benché
nel soggetto faccia differir la parte dal tutto, ella però non differisce nella
parte e nel tutto; benché altra raggione li convegna come subsistente da per
sé, altra in quanto che è atto e perfezione di qualche soggetto, ed altra poi
a riguardo d'un soggetto con disposizioni d'un modo, altra con quelle d'un
altro.
107 \ TEOF.\ Cossì a punto.
108 \ DIC.\ Questa forma non la intendete
accidentale, né simile alla accidentale, né come mista alla materia, né come
inerente a quella, ma inesistente, associata, assistente.
109 \ TEOF.\ Cossì dico.
110 \ DIC.\ Oltre, questa forma è definita e
determinata per la materia; perché, avendo in sé facilità di constituir
particolari di specie innumerabili, viene a contraersi, a constituir uno
individuo; e da l'altro canto, la potenza della materia indeterminata, la quale
può ricevere qualsivoglia forma, viene a terminarsi ad una specie: tanto che
l'una è causa della definizione e determinazion de l'altra.
111 \ TEOF.\ Molto bene.
112 \ DIC.\ Dunque, in certo modo approvate il
senso di Anaxagora, che chiama le forme particolari di natura latitanti;
alquanto quel di Platone, che le deduce da le idee; alquanto quel di Empedocle,
che le fa provenire da la intelligenza; in certo modo quel di Aristotele, che le
fa come uscire da la potenza de la materia? .
113 \ TEOF.\ Sì, perché, come abbiamo detto
che dove è la forma, è in certo modo tutto, dove è l'anima, il spirto, la
vita, è tutto, il formatore è l'intelletto per le specie ideali; le forme, se
non le suscita da la materia, non le va però mendicando da fuor di quella;
perché questo spirto empie il tutto.
114 \ POL.\ Velim scire quomodo forma est
anima mundi ubique tota, se la è individua. Bisogna dunque che la sia molto
grande, anzi de infinita dimensione, se dici il mondo essere infinito.
115 \ GERV.\ È ben raggione che sia grande.
Come anco del Nostro Signore disse un predicatore a Grandazzo in Sicilia; dove,
in segno che quello è presente in tutto il mondo, ordinò un crucifisso tanto
grande, quanta era la chiesa, a similitudine de Dio padre, il quale ha il cielo
empireo per baldacchino, il ciel stellato per seditoio, ed ha le gambe tanto
lunghe, che giungono sino a terra, che gli serve per scabello. A cui venne a
dimandar un certo paesano, dicendogli: - Padre mio reverendo, or quante olne di
drappo bisognaranno per fargli le calze? - E un altro disse che non bastarebono
tutti i ceci, faggiuoli e fave di Melazzo e Nicosia per empirgli la pancia. -
Vedete dunque che questa anima del mondo non sia fatta a questa foggia
anch'ella.
116 \ TEOF.\ Io non saprei rispondere al tuo
dubio, Gervasio, ma bene a quello di mastro Poliinnio. Pure dirò con una
similitudine, per satisfar alla dimanda di ambidoi, perché voglio che voi
ancora riportiate qualche frutto di nostri raggionamenti e discorsi. Dovete
dunque saper brevemente che l'anima del mondo e la divinità non sono tutti
presenti per tutto e per ogni parte, in modo con cui qualche cosa materiale
possa esservi, perché questo è impossibile a qualsivoglia corpo e qualsivoglia
spirto; ma con un modo, il quale non è facile a displicarvelo altrimente se non
con questo. Dovete avvertire che, se l'anima del mondo e forma universale se
dicono essere per tutto, non s'intende corporalmente e dimensionalmente, perché
tali non sono, e cossì non possono essere in parte alcuna; ma sono tutti per
tutto spiritualmente. Come, per esempio, anco rozzo, potreste imaginarvi una
voce, la quale è tutta in tutta una stanza e in ogni parte di quella, perché
da per tutto se intende tutta; come queste paroli ch'io dico, sono intese tutte
da tutti, anco se fussero mille presenti; e la mia voce, si potesse giongere a
tutto il mondo, sarebe tutta per tutto. Dico dunque a voi, mastro Poliinnio, che
l'anima non è individua, come il punto; ma, in certo modo, come la voce. E
rispondo a te, Gervasio, che la divinità non è per tutto, come il Dio di
Grandazzo è in tutta la sua cappella; perché quello, benché sia in tutta la
chiesa, non è però tutto in tutta, ma ha il capo in una parte, li piedi in
un'altra, le braccia e il busto in altre ed altre parti. Ma quella è tutta in
qualsivoglia parte, come la mia voce è udita tutta da tutte le parti di questa
sala.
117 \ POL.\ Percepi optime.
118 \ GERV.\ Io l'ho pur capita la vostra voce.
119 \ DIC.\ Credo ben de la voce; ma del
proposito penso che vi è entrato per un'orecchia e uscito per l'altra.
120 \ GERV.\ Io penso che non v'è né anco
entrato, perché è tardi, e l'orloggio che tegno dentro il stomaco, ha toccata
l'ora di cena.
121 \ POL.\ Hoc est, idest, ave il
cervello in patinis.
122 \ DIC.\ Basta dunque. Domani conveneremo
per raggionar forse circa il principio materiale.
123 \ TEOF.\ O vi aspettarò o mi aspettarete
qua.
124 Fine del secondo dialogo.
Dialogo 3
1
\ GERV.\ È pur gionta
l'ora, e costoro non son venuti. Poi che non ho altro pensiero che mi tire,
voglio prender spasso di udir raggionar costoro, da' quali oltre che posso
imparar qualche tratto di scacco di filosofia, ho pur un bel passatempo circa
que' grilli che ballano in quel cervello eteroclito di Poliinnio pedante. Il
quale, mentre dice che vuol giudicar chi dice bene, chi discorre meglio, chi fa
delle incongruità ed errori in filosofia, quando poi è tempo de dir la sua
parte, e non sapendo che porgere, viene a sfilzarti da dentro il manico della
sua ventosa pedantaria una insalatina di proverbiuzzi, di frase per latino o
greco, che non fanno mai a proposito di quel ch'altri dicono: onde, senza troppa
difficultà, non è cieco che non possa vedere quanto lui sia pazzo per lettera,
mentre degli altri son savii per volgare. Or eccolo in fede mia, come sen viene
che par che nel movere di passi ancora sappia caminar per lettera. Ben venga il dominus
magister.
2 \ POL.\ Quel magister non mi cale:
poscia che in questa devia ed enorme etade, viene attribuito non più ai miei
pari che ad qualsivoglia barbitonsore, cerdone e castrator di porci, però ne
vien consultato: nolite vocari Rabi.
3 \ GERV.\ Come dunque volete ch'io vi dica?
Piacevi il reverendissimo?
4 \ POL.\ Illud est presbiterale et clericum.
5 \ GERV.\ Vi vien voglia de l'illustrissimo?
6 \ POL.\ Cedant arma togae: questo è
da equestri eziandio, come da purpurati.
7 \ GERV.\ La maestà cesarea, anh?
8 \ POL.\ Quae Caesaris Caesari.
9 \ GERV.\ Prendetevi dunque il domine,
deh! , toglietevi il gravitonante, il divum pater!... - Venemo a noi;
perché siete tutti cossì tardi?
10 \ POL.\ Cossì credo che gli altri sono
impliciti in qualche altro affare, come io, per non tralasciar questo giorno
senza linea, sono versato circa la contemplazion del tipo del globo detto
volgarmente il mappamondo.
11 \ GERV.\ Che avete a far col mappamondo?
12 \ POL.\ Contemplo le parti de la terra,
climi, provinze e regioni; de quali tutte ho trascorse con l'ideal raggione,
molte cogli passi ancora.
13 \ GERV.\ Vorei che discorressi alquanto
dentro di te medesmo; perché questo mi par che più te importi, e di questo
credo che manco ti curi.
14 \ POL.\ Absit verbo invidia; perché
con questo molto più efficacemente vengo a conoscere me medesmo.
15 \ GERV.\ E come mel persuaderai?
16 \ POL.\ Per quel che dalla contemplazione
del megacosmo facilmente, necessaria deductione facta a simili, si può
pervenire alla cognizione del microcosmo, di cui le particole alle parti di
quello corrispondeno.
17 \ GERV.\ Sì che trovaremo dentro voi la
Luna, il Mercurio e altri astri? la Francia, la Spagna, l'Italia, l'Inghilterra,
il Calicutto e altri paesi?
18 \ POL.\ Quidni? per quamdam analogiam.
19 \ GERV.\ Per quamdam analogiam io
credo che siate un gran monarca; ma, se fuste una donna, vi dimandarei se vi è
per alloggiare un putello, o di porvi in conserva una di quelle piante che disse
Diogene.
20 \ POL.\ Ah, ah, quodanmodo facete. Ma
questa petizione non quadra ad un savio ed erudito.
21 \ GERV.\ S'io fusse erudito, e mi istimasse
savio, non verrei qua ad imparar insieme con voi.
22 \ POL.\ Voi sì, ma io non vegno per
imparare, perché nunc meum est docere; mea quoque interest eos qui docere
volunt iudicare; però vegno per altro fine che per quel che dovete voi
venire, a cui conviene l'essere tirone, isagogico e discepolo.
23 \ GERV.\ Per qual fine?
24 \ POL.\ Per giudicare dico.
25 \ GERV.\ Invero, a' pari vostri più che ad
altri sta bene di far giudicio de le scienze e dottrine; perché voi siete que'
soli a' quali la liberalità de le stelle e la munificenza del fato ha conceduto
il poter trarre il succhio da le paroli.
26 \ POL.\ E consequentemente dai sensi ancora
i quali sono congionti alle paroli.
27 \ GERV.\ Come al corpo l'anima.
28 \ POL.\ Le qual paroli, essendo ben
comprese, fanno ben considerar ancor il senso: però dalla cognizion de le
lingue (nelle quali io, più che altro che sia in questa città, sono exercitato
e non mi stimo men dotto di qualunque sia che tegna ludo di Minerva aperto)
procede la cognizione di scienza qualsivoglia.
29 \ GERV.\ Dunque, tutti que' che intendeno la
lingua italiana, comprenderanno la filosofia del Nolano?
30 \ POL.\ Sì, ma vi bisogna anco qualch'altra
prattica e giudizio.
31 \ GERV.\ Alcun tempo io pensava che questa
prattica fusse il principale; perché un che non sa greco, può intender tutto
il senso d'Aristotele e conoscere molti errori in quello, come apertamente si
vede che questa idolatria, che versava circa l'autorità di quel filosofo
(quanto a le cose naturali principalmente), è a fatto abolita appresso tutti
che comprendeno i sensi che apporta questa altra setta; ed uno che non sa né di
greco, né di arabico, e forse né di latino, come il Paracelso, può aver
meglio conosciuta la natura di medicamenti e medicina che Galeno, Avicenna e
tutti che si fanno udir con la lingua romana. Le filosofie e leggi non vanno in
perdizione per penuria d'interpreti di paroli, ma di que' che profondano ne'
sentimenti.
32 \ POL.\ Cossì dunque vieni a computar un
par mio nel numero della stolta moltitudine?
33 \ GERV.\ Non vogliano gli Dei, perché so
che con la cognizione e studio de le lingue (il che è una cosa rara e
singulare) non sol voi, ma tutti vostri pari sete valorosissimi circa il far
giudicio delle dottrine, dopo aver crivellati i sentimenti di color che ne si
fanno in.campo.
34 \ POL.\ Perché voi dite il verissimo,
facilmente posso persuadermi che non lo dite senza raggione: per tanto, come non
vi è difficile, non vi fia grave di apportarla.
35 \ GERV.\ Dirò (referendomi pur sempre alla
censura de la prudenza e letteratura vostra) è proverbio comune che quei che
son fuor del gioco, ne intendeno più che quei che vi son dentro; come que' che
sono nel spettacolo, possono meglio giudicar de li atti, che quelli personaggi
che sono in scena; e della musica può far meglior saggio un che non è de la
capella o del conserto; similmente appare nel gioco de le carte, scacchi, scrima
ed altri simili. Cossì voi altri signor pedanti, per esser esclusi e fuor
d'ogni atto di scienza e filosofia, e per non aver, e giamai aver avuto
participazione con Aristotele, Platone e altri simili, possete meglio giudicarli
e condannar con la vostra sufficienza grammatticale e presunzion del vostro
naturale, che il Nolano che si ritrova nel medesmo teatro, nella medesma
familiarità e domestichezza, tanto che facilmente le combatte dopo aver
conosciuti i loro interiori e più profondi sentimenti. Voi dico per esser extra
ogni profession di galantuomini e pelegrini ingegni, meglio le possete
giudicare.
36 \ POL.\ Io non saprei cossì di repente
rispondere a questo impudentissimo. Vox faucibus haesit.
37 \ GERV.\ Però i pari vostri sono sì
presuntuosi, come non son gli altri che vi hanno il piè dentro; e pertanto io
vi assicuro, che degnamente vi usurpate l'ufficio di approvar questo, riprovar
quello, glosar quell'altro, far qua una concordia e collazione, là una
appendice.
38 \ POL.\ Questo ignorantissimo, da quel che
io son perito nelle buone lettere umane, vuol inferir che sono ignorante in
filosofia.
39 \ GERV.\ Dottissimo, messer Poliimnio; io
vo' dire che, se voi aveste tutte le lingue, che son (come dicono i nostri
predicatori) settantadue....,
40 \ POL.\ - cum dimidia.
41 \ GERV.\ - per questo non solamente non
siegue che siate atto a far giudizio di filosofi, ma oltre non potreste togliere
di essere il più gran goffo animale che viva in viso umano: e anco non è che
impedisca che uno ch'abbia a pena una de le lingue, ancor bastarda, sia il più
sapiente e dotto di tutto il mondo. Or considerate quel profitto ch'han fatto
doi cotali, de' quali è un francese arcipedante, c'ha fatte le Scole sopra
le arte liberali e l'Animadversioni contra Aristotele; e un altro
sterco di pedanti, italiano, che ha imbrattati tanti quinterni con le sue Discussioni
peripatetiche. Facilmente ognun vede ch'il primo molto eloquentemente mostra
esser poco savio; il secondo, semplicemente parlando, mostra aver molto del
bestiale e asino. Del primo possiamo pur dire che intese Aristotele; ma che
l'intese male; e se l'avesse inteso bene, arebbe forse avuto ingegno di far
onorata guerra contra lui, come ha fatto il giudiciosissimo Telesio consentino.
Del secondo non possiamo dir che l'abbia inteso né male né bene; ma che
l'abbia letto e riletto, cucito, scucito e conferito con mill'altri greci
autori, amici e nemici di quello; e al fine fatta una grandissima fatica, non
solo senza profitto alcuno, ma etiam con un grandissimo sprofitto, di
sorte che chi vuol vedere in quanta pazzia e presuntuosa vanità può precipitar
e profondare un abito pedantesco, veda quel sol libro, prima che se ne perda la
somenza. Ma ecco presenti il Teofilo col Dicsono.
42 \ POL.\ Adeste felices, domini: la
presenzia vostra è causa che la mia excandescenzia non venga ad exaggerar
fulminee sentenze contra i vani propositi c'ha tenuti questo garrulo frugiperda.
43 \ GERV.\ Ed a me tolta materia di giocarmi
circa la maestà di questo reverendissimo gufo.
44 \ DIC.\ Ogni cosa va bene se non v'adirate.
45 \ GERV.\ Io, quel che dico, lo dico con
gioco, perché amo il signor maestro.
46 \ POL.\ Ego quoque quod irascor, non
serio irascor, quia Gervasium non odi.
47 \ DIC.\ Bene: dunque, lasciatemi discorrer
con Teofilo.
48 \ TEOF.\ Democrito dunque e gli epicurei, i
quali, quel che non è corpo, dicono esser nulla, per conseguenza vogliono la
materia sola essere la sustanza de le cose; ed anco quella essere la natura
divina, come disse un certo arabo, chiamato Avicebron, come mostra in un libro
intitolato Fonte di vita. Questi medesmi, insieme con cirenaici, cinici e
stoici, vogliono le forme non essere altro che certe accidentali disposizioni de
la materia. E io molto tempo son stato assai aderente a questo parere, solo per
questo che ha fondamenti più corrispondenti alla natura che quei di Aristotele;
ma, dopo aver più maturamente considerato, avendo risguardo a più cose,
troviamo che è necessario conoscere nella natura doi geni di sustanza, l'uno
che è forma e l'altro che è materia; perché è necessario che sia un atto
sustanzialissimo, nel quale è la potenza attiva di tutto, ed ancora una potenza
e un soggetto nel quale non sia minor potenza passiva di tutto: in quello è
potestà di fare, in questo è potestà di esser fatto.
49 \ DIC.\ È cosa manifesta ad ognuno che ben
misura, che non è possibile che quello sempre possa far il tutto senza che
sempre sia chi può esser fatto il tutto. Come l'anima del mondo (dico ogni
forma), la quale è individua, può essere figuratrice, senza il soggetto delle
dimensioni o quantità, che è la materia? E la materia come può essere
figurata? Forse da se stessa? Appare che potremo dire, che la materia vien
figurata da se stessa, se noi vogliamo considerar l'universo corpo formato esser
materia, chiamarlo materia; come un animale, con tutte le sue facultà,
chiamaremo materia, distinguendolo, non da la forma, ma dal solo efficiente.
50 \ TEOF.\ Nessuno vi può impedire che non vi
serviate del nome di materia secondo il vostro modo, come a molte sette ha
medesmamente raggione di molte significazioni. Ma questo modo di considerar che
voi dite, so che no' potrà star bene se non a un mecanico o medico che sta su
la prattica, come a colui che divide l'universo corpo in mercurio, sale e
solfro; il che dire non tanto viene a mostrar un divino ingegno di medico quanto
potrebe mostrare un stoltissimo che volesse chiamarsi filosofo; il cui fine non
è de venir solo a quella distinzion di principii, che fisicamente si fa per la
separazione che procede dalla virtù del fuoco, ma anco a quella distinzion de
principii, alla quale non arriva efficiente alcuno materiale, perché l'anima,
inseparabile dal solfro, dal mercurio e dal sale, è principio formale; quale
non è soggetto a qualità materiali, ma è al tutto signor della materia, non
è tocco dall'opra di chimici la cui divisione si termina alle tre dette cose, e
che conoscono un'altra specie d'anima che questa del mondo, e che noi doviamo
diffinire.
51 \ DIC.\ Dite eccellentemente; e questa
considerazione molto mi contenta, perché veggio alcuni tanto poco accorti che
non distingueno le cause della natura assolutamente, secondo tutto l'ambito de
lor essere, che son considerate da' filosofi, e de quelle prese in un modo
limitato e appropriato; perché il primo modo è soverchio e vano a' medici, in
quanto che son medici, il secondo è mozzo e diminuto a' filosofi, in quanto che
son filosofi.
52 \ TEOF.\ Avete toccato quel punto nel quale
è lodato Paracelso, ch'ha trattata la filosofia medicinale, e biasimato Galeno
in quanto ha apportata la medicina filosofale, per far una mistura fastidiosa e
una tela tanto imbrogliata, che al fine renda un poco exquisito medico e molto
confuso filosofo. Ma questo sia detto con qualche rispetto; perché non ho avuto
ocio per esaminare tutte le parti di quell'uomo.
53 \ GERV.\ Di grazia, Teofilo, prima fatemi
questo piacere a me, che non sono tanto prattico in filosofia: dechiaratemi che
cosa intendete per questo nome materia, e che cosa è quello che è materia
nelle cose naturali.
54 \ TEOF.\ Tutti quelli che vogliono
distinguere la materia e considerarla da per sé, senza la forma, ricorreno alla
similitudine de l'arte. Cossì fanno i pitagorici, cossì i platonici, cossì i
peripatetici. Vedete una specie di arte, come del lignaiolo, la quale per tutte
le sue forme e tutti suoi lavori ha per soggetto il legno; come il ferraio il
ferro, il sarto il panno. Tutte queste arti in una propria materia fanno diversi
ritratti, ordini e figure, de le quali nessuna è propria e naturale a quella.
Cossì la natura, a cui è simile l'arte, bisogna che de le sue operazioni abbia
una materia; perché non è possibile che sia agente alcuno che, se vuol far
qualche cosa, non abbia di che farla; o se vuol oprare, non abia che oprare. È
dunque una specie di soggetto, del qual, col quale e nel quale la natura
effettua la sua operazione, il suo lavoro; e il quale è da lei formato di tante
forme che ne presentano a gli occhi della considerazione tanta varietà di
specie. E sì come il legno da sé non ha nessuna forma artificiale, ma tutte
può avere per operazione del legnaiolo; cossì la materia, di cui parliamo, da
per sé e in sua natura non ha forma alcuna naturale, ma tutte le può aver per
operazione dell'agente attivo principio di natura. Questa materia naturale non
è cossì sensibile come la materia artificiale, perché la materia della natura
non ha forma alcuna assolutamente; ma la materia dell'arte è una cosa formata
già della natura, poscia che l'arte non può oprare se non nella superficie
delle cose formate da la natura come legno, ferro, pietra, lana e cose simili;
ma la natura opra dal centro, per dir cossì, del suo soggetto o materia, che è
al tutto informe. Però molti sono i soggetti de le arti, ed uno è il soggetto
della natura; perché quelli, per essere diversamente formati dalla natura, sono
differenti e varii; questo, per non essere alcunamente formato, è al tutto
indifferente, atteso che ogni differenza e diversità procede da la forma.
55 \ GERV.\ Tanto che le cose formate della
natura sono materia de l'arte, e una cosa informe sola è materia della natura?
56 \ TEOF.\ Cossì è.
57 \ GERV.\ È possibile che sì come vedemo e
conoscemo chiaramente gli soggetti de le arti, possiamo similmente conoscere il
soggetto de la natura?
58 \ TEOF.\ Assai bene, ma con diversi
principii di cognizione; perché sì come non col medesmo senso conoscemo gli
colori e gli suoni, cossì non con il medesmo occhio veggiamo il soggetto de le
arti e il soggetto della natura.
59 \ GERV.\ Volete dire, che noi con gli occhi
sensitivi veggiamo quello, e con l'occhio della raggione questo.
60 \ TEOF.\ Bene.
61 \ GERV.\ Or piacciavi formar questa
raggione.
62 \ TEOF.\ Volentieri. Quella relazione e
riguardo che ha la forma de l'arte alla sua materia, medesma (secondo la debita
proporzione) ha la forma della natura alla sua materia. Sì come dunque ne
l'arte, variandosi in infinito (se possibil fosse) le forme, è sempre una
materia medesima che persevera sotto quelle; come, appresso, la forma de
l'arbore è una forma di tronco, poi di trave, poi di tavola, poi di scanno, poi
di scabello, poi di cascia, poi di pettine e cossì va discorrendo, tuttavolta
l'esser legno sempre persevera; non altrimente nella natura, variandosi in
infinito e succedendo l'una a l'altra le forme, è sempre una materia medesma.
63 \ GERV.\ Come si può saldar questa
similitudine?
64 \ TEOF.\ Non vedete voi che quello che era
seme si fa erba, e da quello che era erba si fa spica, da che era spica si fa
pane, da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, da questo embrione, da
questo uomo, da questo cadavero, da questo terra, da questa pietra o altra cosa,
e cossì oltre, per venire a tutte forme naturali?
65 \ GERV.\ Facilmente il veggio.
66 \ TEOF.\ Bisogna dunque che sia una medesima
cosa che da sé non è pietra, non terra, non cadavero, non uomo, non embrione,
non sangue o altro; ma che, dopo che era sangue, si fa embrione, ricevendo
l'essere embrione; dopo che era embrione, riceva l'essere uomo, facendosi omo;
come quella formata dalla natura, che è soggetto de la arte, da quel che era
arbore, è tavola, e riceve esser tavola; da quel che era tavola, riceve l'esser
porta, ed è porta.
67 \ GERV.\ Or l'ho capito molto bene. Ma
questo soggetto della natura mi par che non possa esser corpo, né di certa
qualità; perché questo, che va strafugendo or sotto una forma ed essere
naturale, or sotto un'altra forma ed essere, non si dimostra corporalmente, come
il legno o pietra, che sempre si fan veder quel che sono materialmente, o
soggettivamente pongansi pure sotto qual forma si voglia.
68 \ TEOF.\ Voi dite bene.
69 \ GERV.\ Or che farò quando mi avverrà di
conferir questo pensiero con qualche pertinace, il quale non voglia credere che
sia cossì una sola materia sotto tutte le formazioni della natura, come è una
sotto tutte le formazioni di ciascuna arte? Perché questa che si vede con gli
occhi, non si può negare; quella che si vede con la raggione sola, si può
negare.
70 \ TEOF.\ Mandatelo via, o non gli
rispondete.
71 \ GERV.\ Ma se lui sarà importuno in
dimandarne evidenza, e sarà qualche persona di rispetto, il quale non si possa
più tosto mandar via che mandarmi via, e che abbia per ingiuria ch'io non li
risponda?
72 \ TEOF.\ Che farai, se un cieco semideo,
degno di qualsivoglia onor e rispetto, sarà protervo, importuno e pertinace a
voler aver cognizione e dimandar evidenza di colori, di' pure, de le figure
esteriori di cose naturali, come è dire: quale è la forma de l'arbore? quale
è la forma de monti? di stella? oltre, quale è la forma de la statua, de la
veste? e cossì di altre cose arteficiali, le quali a quei che vedeno son tanto
manifeste?
73 \ GERV.\ Io li risponderei che, se lui
avesse occhi, non ne dimandarebe evidenza, ma le potrebe veder da per lui; ma,
essendo cieco, è anco impossibile che altri gli le dimostri.
74 \ TEOF.\ Similmente potrai dire a costoro,
che, se avessero intelletto, non ne dimanderebono altra evidenza; ma la
potrebono veder da per essi.
75 \ GERV.\ Di questa risposta quelli si
vergognarebono, e altri la stimarebono troppa cinica.
76 \ TEOF.\ Dunque, li direte più copertamente
cossì: -Illustrissimo signor mio; - o: - Sacrata Maestà, come alcune cose non
possono essere evidenti se non con le mani e il toccare, altre se non con
l'udito, altre non, eccetto che con il gusto; altre non, eccetto che con gli
occhi: cossì questa materia di cose naturali non può essere evidente se non
con l'intelletto.
-77 \ GERV.\ Quello, forse, intendendo il
tratto per non esser tanto oscuro né coperto me dirà: - Tu sei quello che non
hai intelletto: io ne ho più che quanti tuoi pari si ritroveno.
-78 \ TEOF.\ Tu non lo crederai più che se un
cieco ti dicesse, che tu sei un cieco e che lui vede più che quanti pensano
veder come tu ti pensi.
79 \ DIC.\ Assai è detto in dimostrar più
evidentemente, che mai abbia udito, quel che significa il nome materia, e quello
che si deve intender materia nelle cose naturali. Cossì il Timeo Pitagorico il
quale, dalla trasmutazione dall'uno elemento nell'altro, insegna ritrovar la
materia che è occolta, e che non si può conoscere, eccetto che con certa
analogia. "Dove era la forma della terra", dice lui, "appresso
appare la forma de l'acqua", e qua non si può dire che una forma riceva
l'altra; perché un contrario non accetta né riceve l'altro, cioè il secco non
riceve l'umido o pur la siccità non riceve la umidità, ma da una cosa terza
vien scacciata la siccità e introdotta la umidità, e quella terza cosa è
soggetto dell'uno e l'altro contrario, e non è contraria ad alcuno. Adunque, se
non è da pensar che la terra sia andata in niente, è da stimare che qualche
cosa che era nella terra, è rimasta ed è ne l'acqua: la qual cosa per la
medesima raggione, quando l'acqua sarà trasmutata in aria (per quel che la
virtù del calore la viene ad estenuare in fumo o vapore), rimarrà e sarà ne
l'aria.
80 \ TEOF.\ Da questo si può conchiudere
(ancor a lor dispetto) che nessuna cosa si anichila e perde l'essere, eccetto
che la forma accidentale esteriore e materiale. Però tanto la materia quanto la
forma sustanziale di che si voglia cosa naturale, che è l'anima, sono
indissolubili ed adnihilabili, perdendo l'essere al tutto e per tutto; tali per
certo non possono essere tutte le forme sustanziali de' peripatetici e altri
simili, che consisteno non in altro che in certa complessione e ordine di
accidenti; e tutto quello che sapranno nominar fuor che la lor materia prima,
non è altro che accidente, complessione, abito di qualità, principio di
definizione, quiddità. Laonde alcuni cucullati suttili metafisici tra quelli,
volendo piuttosto iscusare che accusare la insufficienza del suo nume
Aristotele, hanno trovata la umanità, la bovinità, la olività, per forme
sustanziali specifiche; questa umanità, come socreità, questa bovinità,
questa cavallinità essere la sustanza numerale; il che tutto han fatto per
donarne una forma sustanziale, la quale merite nome di sustanza, come la materia
ha nome ed essere di substanza. Ma però non han profittato giamai nulla;
perché, se gli dimandate per ordine: - In che consiste l'essere sustanziale di
Socrate? -risponderanno: - Nella socreità. Se oltre dimandate: - Che intendete
per socreità? - Risponderanno: - La propria forma sustanziale e la propria
materia di Socrate. - Or lasciamo star questa sustanza che è la materia, e
ditemi: - Che è la sustanza come forma? - Rispondeno alcuni: - La sua anima.
-Dimandate: - Che cosa è questa anima? - Se diranno una entelechia e perfezione
di corpo che può vivere, considera che questo è uno accidente. Se diranno che
è un principio di vita, senso, vegetazione e intelletto, considerate che,
benché quel principio sia qualche sustanzia fundamentalmente considerato, come
noi lo consideriamo, tuttavolta costui non lo pone avanti se non come accidente;
perché esser principio di questo o di quello non dice raggione sustanziale e
assoluta, ma una raggione accidentale e respettiva a quello che è principiato;
come non dice il mio essere e sustanza quello che proferisce lo che io fo o
posso fare; ma sì bene quel che dice lo che io sono, come io e absolutamente
considerato. Vedete dunque come trattano questa forma sustanziale che è
l'anima; la quale, se pur per sorte è stata conosciuta da essi per sustanza,
giamai però l'hanno nominata né considerata come sustanza. Questa confusione
molto più evidentemente la possete vedere, se dimandate a costoro la forma
sustanziale d'una cosa inanimata in che consista, come la forma sustanziale del
legno. Fingeranno que' che son più sottili: nella ligneità. Or togliete via
quella materia, la quale è comune al ferro, al legno e la pietra, e dite: -
Quale resta forma sustanziale del ferro? Giamai ve diranno altro che accidenti.
E questi sono tra' principii d'individuazione e danno la particularità, perché
la materia non è contraibile alla particularità se non per qualche forma; e
questa forma, per esser principio constitutivo d'una sustanza, vogliono che sia
sustanziale, ma poi non la potranno mostrare fisicamente se non accidentale. E
al fine, quando aranno fatto tutto, per quel che possono, hanno una forma
sustanziale, sì, ma non naturale, ma logica; e cossì, al fine, quale logica
intenzione viene ad esser posta principio di cose naturali.
81 \ DIC.\ Aristotile non si avvedde di questo?
82 \ TEOF.\ Credo che se ne avvedde certissimo;
ma non vi pòtte rimediare; però disse che l'ultime differenze sono
innominabili ed ignote.
83 \ DIC.\ Cossì mi pare che apertamente
confesse la sua ignoranza; e però giudicarei ancor io esser meglio di
abbracciar que' principii di filosofia, li quali in questa importante dimanda
non allegano ignoranza, come fa Pitagora, Empedocle e il tuo Nolano, le opinioni
de' quali ieri toccaste.
84 \ TEOF.\ Questo vuole il Nolano, che è uno
intelletto che dà l'essere a ogni cosa, chiamato da' pitagorici e il Timeo
datore de le forme; una anima e principio formale, che si fa e informa ogni
cosa, chiamata da' medesmi fonte de le forme; una materia, della quale vien
fatta e formata ogni cosa, chiamata da tutti ricetto de le forme.
85 \ DIC.\ Questa dottrina (perché par che non
gli manca cosa alcuna) molto mi aggrada. E veramente è cosa necessaria, che,
come possiamo ponere un principio materiale costante ed eterno, poniamo un
similmente principio formale. Noi veggiamo che tutte le forme naturali cessano
dalla materia e novamente vegnono nella materia; onde par realmente nessuna cosa
esser costante, ferma, eterna e degna di aver esistimazione di principio,
eccetto che la materia. Oltre che le forme non hanno l'essere senza la materia,
in quella si generano e corrompono, dal seno di quella esceno ed in quello si
accogliono: però la materia la qual sempre rimane medesima e feconda, deve aver
la principal prorogativa d'esser conosciuta sol principio substanziale, e quello
che è, e che sempre rimane; e le forme tutte insieme non intenderle, se non
come che sono disposizioni varie della materia, che sen vanno e vegnono, altre
cessano e se rinnovano, onde non hanno riputazione tutte di principio. Però si
son trovati di quelli che, avendo ben considerata la raggione delle forme
naturali, come ha possuto aversi da Aristotele ed altri simili, hanno concluso
al fine che quelle non son che accidenti e circostanze della materia; e però
prerogativa di atto e di perfezione doverse referire alla materia, e non a cose,
de quali veramente possiamo dire che esse non sono sustanza né natura, ma cose
della sustanza e della natura, la quale dicono essere la materia; che appresso
quelli è un principio necessario, eterno e divino, come a quel moro Avicebron,
che la chiama Dio che è in tutte le cose.
86 \ TEOF.\ A questo errore son stati ammenati
quelli da non conoscere altra forma che l'accidentale; e questo moro, benché
dalla dottrina peripatetica, nella quale era nutrito, avesse accettata la forma
sustanziale, tuttavolta, considerandola come cosa corrottibile, non solo
mutabile circa la materia, e come quella che è parturita e non parturisce,
fondata e non fonda, è rigettata, e non rigetta, la dispreggiò e la tenne a
vile in comparazione della materia stabile, eterna, progenitrice, madre. E certo
questo avviene a quelli che non conoscono quello che conosciamo noi.
87 \ DIC.\ Questo è stato molto ben
considerato; ma è tempo che dalla digressione ritorniamo al nostro proposito.
Sappiamo ora distinguere la materia dalla forma, tanto dalla forma accidentale
(sia come la si voglia) quanto dalla sustanziale; quel che resta a vedere è la
natura e realità sua. Ma prima vorrei saper se, per la grande unione che ha
questa anima del mondo e forma universale con la materia, si potesse patire
quell'altro modo e maniera di filosofare di quei che non separano l'atto dalla
raggion della materia, e la intendono cosa divina, e non pura e informe talmente
che lei medesma non si forme e vesta.
88 \ TEOF.\ Non facilmente, perché niente
assolutamente opera in se medesimo, e sempre è qualche distinzion tra quello
che è agente, e quello che è fatto, o circa il quale è l'azione e operazione,
laonde è bene nel corpo della natura distinguere la materia da l'anima, e in
questa distinguere quella raggione delle specie. Onde diciamo in questo corpo
tre cose: prima, l'intelletto universale, indito nelle cose; secondo, l'anima
vivificatrice del tutto; terzo, il soggetto. Ma non per questo negaremo esser
filosofo colui che prenda nel geno di suo filosofare questo corpo formato o,
come vogliam dire, questo animale razionale, e comincie a prendere per primi
principii in qualche modo i membri di questo corpo, come dire aria, terra,
fuoco; over eterea regione e astro; over spirito e corpo; o pur vacuo e pieno:
intendendo però il vacuo non come il prese Aristotele; o pur in altro modo
conveniente. Non mi parrà però quella filosofia degna di essere rigettata,
massime quando, sopra a qualsivoglia fundamento che ella presuppona, o forma
d'edificio che si propona, venga ad effettuare la perfezione della scienzia
speculativa e cognizione di cose naturali, come invero è stato fatto da molti
più antichi filosofi. Perché è cosa da ambizioso e cervello presuntuoso, vano
e invidioso voler persuadere ad altri, che non sia che una sola via di
investigare e venire alla cognizione della natura; ed è cosa da pazzo e uomo
senza discorso donarlo ad intendere a se medesimo. Benché dunque la via più
costante e ferma, e più contemplativa e distinta, e il modo di considerar più
alto deve sempre esser preferito, onorato e procurato più; non per tanto è da
biasimar quell'altro modo il quale non è senza buon frutto, benché quello non
sia il medesmo arbore.
89 \ DIC.\ Dunque, approvate il studio de
diverse filosofie?
90 \ TEOF.\ Assai, a chi ha copia di tempo ed
ingegno: ad altri approvo il studio della megliore, se gli Dei vogliono che la
addovine.
91 \ DIC.\ Son certo però che non approvate
tutte le filosofie, ma le buone e le megliori.
92 \ TEOF.\ Cossì è. Come anco in diversi
ordini di medicare, non riprovo quello che si fa magicamente per applicazion di
radici, appension di pietre e murmurazione d'incanti, s'il rigor di teologi mi
lascia parlar come puro naturale. Approvo quello che si fa fisicamente e procede
per apotecarie ricette, con le quali si perseguita o fugge la còlera, il
sangue, la flemma e la melancolia. Accetto quello altro che si fa chimicamente,
che abstrae le quinte essenze e, per opera del fuoco, da tutti que' composti fa
volar il mercurio, subsidere il sale e lampeggiar o disolar il solfro. Ma però,
in proposito di medicina, non voglio determinare tra tanti buoni modi qual sia
il megliore, perché l'epilettico, sopra il quale han perso il tempo il fisico
ed il chimista, se vien curato dal mago, approvarà non senza raggione più
questo che quello e quell'altro medico. Similmente discorri per l'altre specie:
de quali nessuna verrà ad essere men buona che l'altra, se cossì l'una come le
altre viene ad effettuar il fine che si propone. Nel particolar poi è meglior
questo medico che mi sanarà, che gli altri che m'uccidano o mi tormentino.
93 \ GERV.\ Onde avviene che son tanto nemiche
fra lor queste sette di medici?
94 \ TEOF.\ Dall'avarizia, dall'invidia,
dall'ambizione e dall'ignoranza. Comunmente a pena intendono il proprio metodo
di medicare; tanto si manca che possano aver raggione di quel d'altrui. Oltre
che la maggior parte, non possendo alzarsi all'onor e guadagno con proprie
virtù, studia di preferirsi con abbassar gli altri, mostrando di dispreggiar
quello che non può acquistare. Ma di questi l'ottimo e vero è quello che non
è sì fisico, che non sia anco chimico e matematico. Or, per venir al
proposito, tra le specie della filosofia, quella è la meglior, che più comoda
e altamente effettua la perfezion de l'intelletto umano, ed è più
corrispondente alla verità della natura, e quanto sia possibile cooperatori di
quella o divinando (dico per ordine naturale e raggione di vicissitudine, non
per animale istinto come fanno le bestie e que' che gli son simili; non per
ispirazione di buoni o mali demoni, come fanno i profeti; non per melancolico
entusiasmo, come i poeti e altri contemplativi), o ordinando leggi e riformando
costumi, o medicando, o pur conoscendo e vivendo una vita più beata e più
divina. Eccovi dunque come non è sorte di filosofia, che sia stata ordinata da
regolato sentimento, la quale non contegna in sé qualche buona proprietà che
non è contenuta da le altre. Il simile intendo della medicina, che da tai
principii deriva, quali presupponeno non imperfetto abito di filosofia; come
l'operazion del piede o della mano, quella de l'occhio. Però è detto che non
può aver buono principio di medicina chi non ha buon termine di filosofia.
95 \ DIC.\ Molto mi piacete, e molto vi lodo;
che, sì come non sète cossì plebeio come Aristotele, non sète anco cossì
ingiurioso e ambizioso come lui; il quale l'opinioni di tutti altri filosofi con
gli lor modi di filosofare volse che fussero a fatto dispreggiate.
96 \ TEOF.\ Benché, de quanti filosofi sono,
io non conosca più fondato su l'imaginazioni e rimosso dalla natura che lui; e
se pur qualche volta dice cose eccellenti, son conosciute che non dependeno da
principii suoi, e però sempre son proposizioni tolte da altri filosofi; come ne
veggiamo molte divine nel libro Della generazione, Meteora, De animali e
Piante.
97 \ DIC.\ Tornando dunque al nostro proposito:
volete che della materia, senza errore e incorrere contradizione, se possa
definire diversamente?
98 \ TEOF.\ Vero, come del medesmo oggetto
possono esser giodici diversi sensi, e la medesma cosa si può insinuar
diversamente. Oltre che (come è stato toccato) la considerazione di una cosa si
può prendere da diversi capi. Hanno dette molte cose buone gli epicurei,
benché non s'inalzassero sopra la qualità materiale. Molte cose excellenti ha
date a conoscere Eraclito, benché non salisse sopra l'anima. Non manca
Anassagora di far profitto nella natura, perché non solamente entro a quella,
ma fuori e sopra forse, conoscer voglia un intelletto, il quale medesmo da
Socrate, Platone, Trimegisto e nostri teologi è chiamato Dio. Cossì
nientemanco bene può promovere a scuoprir gli arcani della natura uno che
comincia dalla raggione esperimentale di semplici (chiamati da loro), che quelli
che cominciano dalla teoria razionale. E di costoro, non meno chi da
complessioni che chi da umori, e questo non più che colui che descende da'
sensibili elementi, o, più da alto, quelli assoluti, o da la materia una, di
tutti più alto e più distinto principio. Perché talvolta chi fa più lungo
camino, non farà però sì buono peregrinaggio, massime se il suo fine non è
tanto la contemplazione quanto l'operazione. Circa il modo poi di filosofare,
non men comodo sarà di esplicar le forme come da un implicato che distinguerle
come da un caos, che distribuirle come da una fonte ideale, che cacciarle in
atto come da una possibilità, che riportarle come da un seno, che
dissotterrarle alla luce come da un cieco e tenebroso abisso; perché ogni
fundamento è buono, se viene approvato per l'edificio, ogni seme è convenevole
se gli arbori e frutti sono desiderabili.
99 \ DIC.\ Or, per venire al nostro scopo,
piacciavi apportar la distinta dottrina di questo principio.
100 \ TEOF.\ Certo, questo principio, che è
detto materia, può essere considerato in doi modi: prima, come una potenza;
secondo, come un soggetto. In quanto che presa nella medesima significazione che
potenza, non è cosa nella quale, in certo modo e secondo la propria raggione,
non possa ritrovarse; e gli pitagorici, platonici, stoici e altri non meno l'han
posta nel mondo intelligibile che nel sensibile. E noi, non la intendendo
appunto come quelli la intesero, ma con una raggione più alta e più esplicata,
in questo modo raggionamo della potenza over possibilità. La potenza comunmente
si distingue in attiva, per la quale il soggetto di quella può operare; e in
passiva, per la quale o può essere, o può ricevere, o può avere, o può
essere soggetto di efficiente in qualche maniera. De la potenza attiva non
raggionando al presente, dico che la potenza che significa in modo passivo
(benché non sempre sia passiva) si può considerare o relativamente o vero
assolutamente. E cossì non è cosa di cui si può dir l'essere, della quale non
si dica il posser essere. E questa sì fattamente risponde alla potenza attiva,
che l'una non è senza l'altra in modo alcuno; onde se sempre è stata la
potenza di fare, di produre, di creare, sempre è stata la potenza di esser
fatto, produto e creato; perché l'una potenza implica l'altra; voglio dir, con
esser posta, lei pone necessariamente l'altra. La qual potenza, perché non dice
imbecillità in quello di cui si dice, ma piuttosto confirma la virtù ed
efficacia, anzi al fine si trova che è tutt'uno ed a fatto la medesma cosa con
la potenza attiva, non è filosofo né teologo che dubiti di attribuirla al
primo principio sopranaturale. Perché la possibilità assoluta per la quale le
cose che sono in atto, possono essere, non è prima che la attualità, né
tampoco poi che quella. Oltre, il possere essere è con lo essere in atto, e non
precede quello; perché, se quel che può essere, facesse se stesso, sarebe
prima che fusse fatto. Or contempla il primo e ottimo principio, il quale è
tutto quel che può essere, e lui medesimo non sarebe tutto se non potesse
essere tutto; in lui dunque l'atto e la potenza son la medesima cosa. Non è
cossì nelle altre cose, le quali, quantunque sono quello che possono essere,
potrebono però non esser forse, e certamente altro, o altrimente che quel che
sono; perché nessuna altra cosa è tutto quel che può essere. Lo uomo è quel
che può essere, ma non è tutto quel che può essere. La pietra non è tutto
quello che può essere, perché non è calci, non è vase, non è polve, non è
erba. Quello che è tutto che può essere, è uno, il quale nell'esser suo
comprende ogni essere. Lui è tutto quel che è e può essere qualsivoglia altra
cosa che è e può essere. Ogni altra cosa non è cossì. Però la potenza non
è equale a l'atto, perché non è atto assoluto ma limitato; oltre che la
potenza sempre è limitata ad uno atto, perché mai ha più che uno essere
specificato e particolare; e se pur guarda ad ogni forma ed atto, questo è per
mezzo di certe disposizioni e con certa successione di uno essere dopo l'altro.
Ogni potenza dunque ed atto, che nel principio è come complicato, unito e uno,
nelle altre cose è esplicato, disperso e moltiplicato. Lo universo, che è il
grande simulacro, la grande imagine e l'unigenita natura, è ancor esso tutto
quel che può essere, per le medesime specie e membri principali e continenza di
tutta la materia, alla quale non si aggionge e dalla quale non si manca, di
tutta e unica forma; ma non già è tutto quel che può essere per le medesime
differenze, modi, proprietà ed individui. Però non è altro che un'ombra del
primo atto e prima potenza, e pertanto in esso la potenza e l'atto non è
assolutamente la medesima cosa, perché nessuna parte sua è tutto quello che
può essere. Oltre che in quel modo specifico che abbiamo detto, l'universo è
tutto quel che può essere, secondo un modo esplicato, disperso, distinto. Il
principio suo è unitamente e indifferentemente; perché tutto è tutto e il
medesmo semplicissimamente, senza differenza e distinzione.
101 \ DIC.\ Che dirai della morte, della
corrozione, di vizii, di diffetti, di mostri? Volete che questi ancora abiano
luogo in quello che è il tutto, che può essere ed è in atto tutto quello che
è in potenza?
102 \ TEOF.\ Queste cose non sono atto e
potenza, ma sono difetto e impotenza, che si trovano nelle cose esplicate,
perché non sono tutto quel che possono essere, e si forzano a quello che
possono essere. Laonde, non possendo essere insieme e a un tratto tante cose,
perdeno l'uno essere per aver l'altro: e qualche volta confondeno l'uno essere
con l'altro, e talor sono diminuite, manche e stroppiate per l'incompassibilità
di questo essere e di quello, e occupazion della materia in questo e quello. Or
tornando al proposito, il primo principio assoluto è grandezza e magnitudine;
ed è tal magnitudine e grandezza, che è tutto quel che può essere. Non è
grande di tal grandezza che possa essere maggiore, né che possa esser minore,
né che possa dividersi, come ogni altra grandezza che non è tutto quel che
può essere; però è grandezza massima, minima, infinita, impartibile e d'ogni
misura. Non è maggiore, per esser minima; non è minima, per esser quella
medesima massima; è oltre ogni equalità, perché è tutto quel che ella possa
essere. Questo che dico della grandezza, intendi di tutto quel che si può dire:
perché è similmente bontà che è ogni bontà che possa essere; è bellezza
che è tutto il bello che può essere; e non è altro bello che sia tutto quello
che può essere, se non questo uno. Uno è quello che è tutto e può esser
tutto assolutamente. Nelle cose naturali oltre non veggiamo cosa alcuna che sia
altro che quel che è in atto, secondo il quale è quel che può essere, per
aver una specie di attualità; tuttavia né in quest'unico esser specifico
giamai è tutto quel che può essere qualsivoglia particulare. Ecco il sole: non
è tutto quello che può essere il sole, non è per tutto dove può essere il
sole, perché, quando è oriente a la terra, non gli è occidente, né
meridiano, né di altro aspetto. Or se vogliamo mostrar il modo con il quale Dio
è sole, diremo (perché è tutto quel che può essere) che è insieme oriente,
occidente, meridiano, merinoziale e di qualsivoglia di tutti punti de la
convessitudine della terra; onde, se questo sole (o per sua revoluzione o per
quella della terra) vogliamo intendere che si muova e muta loco, perché non è
attualmente in un punto senza potenza di essere in tutti gli altri, e però ave
attitudine ad esservi; se dunque è tutto quel che può essere e possiede tutto
quello che è atto a possedere, sarà insieme per tutto ed in tutto; è si
fattamente mobilissimo e velocissimo, che è anco stabilissimo e immobilissimo.
Però tra gli divini discorsi troviamo che è detto stabile in eterno e
velocissimo che discorre da fine a fine; perché se intende inmobile quello che
in uno istante medesimo si parte dal punto di oriente ed è ritornato al punto
di oriente, oltre che non meno si vede in oriente che in occidente e
qualsivoglia altro punto del circuito suo; per il che non è più raggione che
diciamo egli partirsi e tornare, esser partito e tornato, da quel punto a quel
punto, che da qualsivoglia altro de infiniti al medesimo. Onde verrà esser
tutto e sempre in tutto il circolo ed in qualsivoglia parte di quello; e per
consequenza ogni punto individuo dell'eclittica contiene tutto il diametro del
sole. E cossì viene uno individuo a contener il dividuo; il che non accade per
la possibilità naturale, ma sopranaturale; voglio dire quando si supponesse che
il sole fosse quello che è in atto tutto quel che può essere. La potestà sì
assoluta non è solamente quel che può essere il sole, ma quel che è ogni cosa
e quel che può essere ogni cosa: potenza di tutte le potenze, atto di tutti gli
atti, vita di tutte le vite, anima di tutte le anime, essere de tutto l'essere;
onde altamente è detto dal Revelatore: "Quel che è, me invia; Colui che
è, dice cossì". Però quel che altrove è contrario ed opposito, in lui
è uno e medesimo, ed ogni cosa in lui è medesima cossì discorri per le
differenze di tempi e durazioni, come per le differenze di attualità e
possibilità. Però lui non è cosa antica e non è cosa nuova; per il che ben
disse il Revelatore: "primo e novissimo".
103 \ DIC.\ Questo atto absolutissimo, che è
medesimo che l'absolutissima potenza, non può esser compreso da l'intelletto,
se non per modo di negazione: non può, dico, esser capito, né in quanto può
esser tutto, né in quanto è tutto. Perché l'intelletto, quando vuole
intendere, gli fia mestiero di formar la specie intelligibile, di assomigliarsi,
di conmesurarsi ed ugualarsi a quella: ma questo è impossibile, perché
l'intelletto mai è tanto che non possa essere maggiore; e quello per essere
inmenso da tutti lati e modi non può esser più grande. Non è dunque occhio
ch'approssimar si possa o ch'abbia accesso a tanto altissima luce e sì
profondissimo abisso.
104 \ TEOF.\ La concidenzia di questo atto con
l'assoluta potenza è stata molto apertamente descritta dal spirto divino dove
dice: "Tenebrae non obscurabuntur a te. Nox sicut dies illuminabitur.
Sicut tenebrae eius, ita et lumen eius". Conchiudendo, dunque, vedete
quanta sia l'eccellenza della potenza, la quale, se vi piace chiamarla raggione
di materia, che non hanno penetrato i filosofi volgari, la possete senza
detraere alla divinità trattar più altamente, che Platone nella sua Politica
e il Timeo. Costoro, per averno troppo alzata la raggione della materia, son
stati scandalosi ad alcuni teologi. Questo è accaduto o perché quelli non si
son bene dechiarati, o perché questi non hanno bene inteso, perché sempre
prendeno il significato della materia secondo che è soggetto di cose naturali,
solamente come nodriti nelle sentenze d'Aristotele; e non considerano che la
materia è tale appresso gli altri, che è comune al mondo intelligibile e
sensibile, come essi dicono, prendendo il significato secondo una equivocazione
analoga. Però, prima che sieno condannate, denno essere ben bene essaminate le
opinioni, e cossì distinguere i linguaggi come son distinti gli sentimenti;
atteso che, benché tutti convegnano talvolta in una raggion comune della
materia, sono differenti poi nella propria. E quanto appartiene al nostro
proposito, è impossibile (tolto il nome della materia, e sie capzioso e
malvaggio ingegno quanto si voglia) che si trove teologo che mi possa imputar
impietà per quel che dico e intendo della coincidenza della potenza e atto,
prendendo assolutamente l'uno e l'altro termino. Onde vorrei inferire che, -
secondo tal proporzione quale è lecito dire, in questo simulacro di quell'atto
e di quella potenza (per essere in atto specifico tutto quel tanto che è in
specifica potenza, per tanto che l'universo, secondo tal modo, è tutto quel che
può essere), sie che si voglia quanto all'atto e potenza numerale, - viene ad
aver una potenza la quale non è absoluta dall'atto, una anima non absoluta da
l'animato, non dico il composto, ma il semplice: onde cossì de l'universo sia
un primo principio che medesmo se intenda, non più distintamente materiale e
formale, che possa inferirse dalla similitudine del predetto, potenza absoluta e
atto. Onde non fia difficile o grave di accettar al fine che il tutto, secondo
la sustanza, è uno, come forse intese Parmenide, ignobilmente trattato da
Aristotele.
105 \ DIC.\ Volete dunque che, benché
descendendo per questa scala di natura, sia doppia sustanza, altra spirituale,
altra corporale, che in somma l'una e l'altra se riduca ad uno essere e una
radice.
106 \ TEOF.\ Se vi par che si possa comportar
da quei che non penetrano più che tanto.
107 \ DIC.\ Facilissimamente, purché non
t'inalzi sopra i termini della natura.
108 \ TEOF.\ Questo è già fatto. Se non
avendo quel medesimo senso e modo di diffinire della divinità, il qual è
comune, avemo un particolare, non però contrario né alieno da quello, ma più
chiaro forse e più esplicato, secondo la raggione che non è sopra il nostro
discorso, da la quale non vi promesi di astenermi.
109 \ DIC.\ Assai è detto del principio
materiale, secondo la raggione della possibilità o potenza; piacciavi domani di
apparecchiarvi alla considerazion del medesimo, secondo la raggione dell'esser
soggetto.
110 \ TEOF.\ Cossì farò.
111 \ GERV.\ A rivederci.
112 \ POL.\ Bonis avibus.
Dialogo 4
1
\ POL.\ Et os vulvae
nunquam dicit: sufficit id est, scilicet, videlicet, utpote, quod est dictu,
materia (la qual viene significata per queste cose) recipiendis formis
numquam expletur. Or, poi che altro non è in questo Liceo, vel potius Antiliceo,
solus (ita, inquam, solus, ut minime omnium solus) deambulabo, et ipse mecum
confabulabor. La materia, dunque, di peripatetici dal prencipe e
dell'altigrado ingenio del gran Macedone moderatore, non minus che dal
Platon divino e altri, or chaos, or hyle, or sylva, or
massa, or potenzia, or aptitudine, or privationi admixtum, or peccati
causa, or ad maleficium ordinata, or per se non ens, or per
se non scibile, or per analogiam ad formam cognoscibile, or tabula
rasa, or indepictum, or subiectum, or substratum, or substerniculum,
or campus, or infinitum, or indeterminatum, or prope
nihil, or neque quid, neque quale, neque quantum; tandem dopo aver
molto con varie e diverse nomenclature (per definir questa natura) collimato, ab
ipsis scopum ipsum attingentibus, femina vien detta; tandem, inquam (ut
una complectantur omnia vocabula), a melius rem ipsam perpendentibus foemina
dicitur. Et mehercle, non senza non mediocre caggione a questi del Palladio
regno senatori ha piaciuto di collocare nel medesimo equilibrio queste due cose:
materia e femina; poscia che da l'esperienza fatta del rigor di quelle son stati
condotti a quella rabia e quella frenesia (or qua mi vien per filo un color
retorico). Queste sono un chaos de irrazionalità, hyle di
sceleraggini, selva di ribalderie, massa d'immundizie, aptitudine ad ogni
perdizione (un altro color retorico, detto da alcuni complexio!). Dove
era in potenza, non solum remota ma etiam propinqua, la destruzion
di Troia? In una donna. Chi fu l'instrumento della destruzion della sansonica
fortezza? di quello eroe, io dico, che con quella sua mascella d'asino che si
trovava, dovenne trionfator invitto di filistei? Una donna. Chi domò a Capua
l'empito e la forza del gran capitano e nemico perpetuo della republica romana,
Annibale? Una donna! (Exclamatio!) Dimmi, o cytaredo profeta, la caggion
della tua fragilità. - Quia in peccatis concepit me mater mea. -Come, o
antico nostro protoplaste, essendo tu un paradisico ortolano e agricoltor de
l'arbore de la vita, fuste maleficiato sì, che te con tutto il germe umano al
baratro profondo della perdizion risospingesti? Mulier, quam dedit mihi:
ipsa, ipsa me decepit. - Procul dubio, la forma non pecca e da
nessuna forma proviene errore, se non per esser congionta alla materia. Cossì
la forma, significata per il maschio, essendo posta in familiarità della
materia e venuta in composizione o copulazion con quella, con queste parole, o
pur con questa sentenza risponde alla natura naturante: Mulier, quam dedisti
mihi, - idest, la materia, la quale mi hai dato consorte, - ipsa
me decepit: hoc est, lei è caggione d'ogni mio peccato. Contempla,
contempla, divino.ingegno, qualmente gli egregii filosofanti e de le viscere
della natura discreti notomisti, per porne pienamente avante gli occhi la natura
della materia, non han ritrovato più accomodato modo che con avertirci con
questa proporzione, qual significa il stato delle cose naturali per la materia
essere come l'economico, politico e civile per il femineo sesso. Aprite, aprite
gli occhi, ecc. - Oh, veggio quel colosso di poltronaria, Gervasio, il quale
interrompe della mia nervosa orazione il filo. Dubito che son stato da lui
udito; ma che importa?
2 \ GERV.\ Salve, magister doctorum optime!
3 \ POL.\ Se non (tuo more) mi vuoi
deludere tu quoque, salve!
4 \ GERV.\ Vorrei saper che è quello che
andavi solo ruminando?
5 \ POL.\ Studiando nel mio museolo, in eum,
qui apud Aristotelem est, locum incidi, del primo della Fisica in calce,
dove, volendo elucidare che cosa fosse la prima materia, prende per specchio il
sesso femminile; sesso, dico, ritroso, fragile, inconstante, molle, pusillo,
infame, ignobile, vile, abietto, negletto, indegno, reprobo, sinistro,
vituperoso, frigido, deforme, vacuo, vano, indiscreto, insano, perfido,
neghittoso, putido, sozzo, ingrato, trunco, mutilo, imperfetto, incoato,
insufficiente, preciso, amputato, attenuato, rugine, eruca, zizania, peste,
morbo, morte,
Messo tra noi da la natura a Dio
Per una soma e per un greve fio.
6 \ GERV.\ Io so che voi dite questo più per
esercitarvi ne l'arte oratoria e dimostrar quanto siate copioso ed eloquente,
che abbiate tal sentimento che dimostrate per le paroli. Perché è cosa
ordinaria a voi, signori umanisti, che vi chiamate professori de le buone
lettere, quando vi ritrovate pieni di que' concetti che non possete ritenere,
non andate a scaricarli altrove che sopra le povere donne; come quando
qualch'altra còlera vi preme, venete ad isfogarla sopra il primo delinquente di
vostri scolari. Ma guardatevi, signori Orfei, dal furioso sdegno de le donne
tresse.
7 \ POL.\ Poliinnio son io, no' sono Orfeo.
8 \ GERV.\ Dunque, non biasimate le donne da
dovero?
9 \ POL.\ Minime, minime quidem. Io
parlo da dovero, e non intendo altrimente, che come dico; perché non fo (sophistarum
more) professione di dimostrar ch'il bianco è nero.
10 \ GERV.\ Perché dunque vi tingete la barba?
.
11 \ POL.\ Ma ingenue loquor; e dico,
che un uomo senza donna è simile a una de le intelligenze; è, dico, uno eroe,
un semideo, qui non duxit uxorem.
12 \ GERV.\ Ed è simile ad un'ostreca e ad un
fungo ancora, ed è un tartufo.
13 \ POL.\ Onde divinamente disse il lirico
poeta: Credite, Pisones, melius nil caelibe vita.
14 E se vuoi saperne la caggione, odi Secondo
filosofo: "La femina", dice egli, "è uno impedimento di quiete,
danno.continuo, guerra cotidiana, priggione di vita, tempesta di casa, naufragio
de l'uomo". Ben lo confirmò quel Biscaino che, fatto impaziente e messo in
còlera per una orribil fortuna e furia del mare, con un torvo e colerico viso,
rivoltato all'onde: - Oh mare, mare, disse, ch'io ti potesse maritare! - volendo
inferire che la femina è la tempesta de le tempeste. Perciò Protagora,
dimandato perché avesse data ad un suo nemico la figlia, rispose che non possea
fargli peggio che dargli moglie. Oltre, non mi farà mentire un buon uomo
francese, al quale (come a tutti gli altri che pativano pericolosissima tempesta
di mare) essendo comandato da Cicala, padron de la nave, di buttare le cose più
gravi al mare, lui per la prima vi gittò la moglie.
15 \ GERV.\ Voi non riferite per il contrario
tanti altri esempi di coloro che si son stimati fortunatissimi per le sue donne?
tra' quali (per non mandarvi troppo lontano) ecco, sotto questo medesmo tetto,
il signor di Mauvissiero incorso in una, non solamente dotata di non mediocre
corporal beltade che gli avvela e ammanta l'alma, ma oltre, che col triumvirato
di molto discreto giudizio, accorta modestia e onestissima cortesia,
d'indissolubil nodo tien avvinto l'animo del suo consorte, ed è potente a
cattivarsi chiunque la conosce. Che dirai de la generosa figlia, che a pena un
lustro e un anno ha visto il sole, e per le lingue non potrai giudicare s'ella
è da Italia o da Francia o da Inghilterra, per la mano circa gli musici
istrumenti non potrai capire s'ella è corporea o incorporea sustanza, per la
matura bontà di costumi dubitarai s'ella è discesa dal cielo o pur è sortita
da la terra? Ognun vede che in quella, non meno per la formazion di sì bel
corpo è concorso il sangue de l'uno e l'altro parente, ch'alla fabrica del
spirto singulare le virtù dell'animo eroico di que' medesimi.
16 \ POL.\ Rara avis come la Maria da
Boshtel; rara avis come la Maria da Castelnovo.
17 \ GERV.\ Quel raro che dite de le
femine, medesimo si può dire de' maschi.
18 \ POL.\ In fine, per ritornare al proposito,
la donna non è altro che una materia. Se non sapete che cosa è donna, per non
saper che cosa è materia, studiate alquanto gli peripatetici che, con
insegnarvi che cosa è materia, te insegnaranno che cosa è donna.
19 \ GERV.\ Vedo bene che, per aver voi un
cervello peripatetico, apprendeste poco o nulla di quel che ieri disse il
Teofilo circa l'essenza e potenza della materia.
20 \ POL.\ De l'altro sia che si vuole; io sto
sul punto del biasimar l'appetito de l'una e de l'altra, il quale è caggion
d'ogni male, passione, difetto, ruina, corrozione. Non credete che, se la
materia si contentasse de la forma presente, nulla alterazione o passione arrebe
domìno sopra di noi, non moriremmo, sarrebom incorrottibili ed eterni?
21 \ GERV.\ E se la si fosse contentata di
quella forma, che avea cinquanta anni addietro, che direste? sareste tu,
Poliinnio? Se si fusse fermata sotto quella di quaranta anni passati, sareste
sì adultero.., dico, sì adulto, sì.perfetto, sì dotto? Come dunque ti piace,
che le altre forme abbiano ceduto a questa, cossì è in volontà de la natura,
che ordina l'universo, che tutte le forme cedano a tutte. Lascio che è maggior
dignità di questa nostra sustanza di farsi ogni cosa, ricevendo tutte le forme,
che, ritenendone una sola, essere parziale. Cossì, al suo possibile, ha la
similitudine di chi è tutto in tutto.
22 \ POL.\ Mi cominci a riuscir dotto, uscendo
fuor del tuo ordinario naturale. Applica ora, se puoi, a simili,
apportando la dignità che si ritrova ne la femina.
23 \ GERV.\ Farollo facilissimamente. Oh, ecco
il Teofilo.
24 \ POL.\ E il Dicsone. Un'altra volta dunque.
De iis hactenus.
25 \ TEOF.\ Non vedemo, che de' peripatetici,
come di platonici anco, divideno la sustanza per la differenza di corporale e
incorporale? Come dunque queste differenze si reducono alla potenza di medesimo
geno, cossì bisogna che le forme sieno di due sorte; perché alcune sono
trascendenti, cioè superiori al geno, che si chiamano principii, come entità,
unità, uno, cosa, qualche cosa, e altri simili; altre son di certo geno
distinte da altro geno, come sustanzialità, accidentalità. Quelle che sono de
la prima maniera, non distingueno la materia e non fanno altra e altra potenza
di quella; ma, come termini universalissimi che comprendono tanto le corporali,
quanto le incorporali sustanze, significano quella universalissima, comunissima
e una de l'une e l'altre. Appresso, "che cosa ne impedisce", disse
Avicebron, "che, sì come, prima che riconosciamo la materia de le forme
accidentali, che è il composto, riconoscemo la materia della forma sustanziale,
che è parte di quello; cossì, prima che conosciamo la materia che è contratta
ad esser sotto le forme corporali, vegnamo a conoscere una potenza, la quale sia
distinguibile per la forma di natura corporea e de incorporea, dissolubile e non
dissolubile?". Ancora, se tutto quel che è (cominciando da l'ente summo e
supremo) ave un certo ordine e fa una dependenza, una scala nella quale si monta
da le cose composte alle semplici, da queste alle semplicissime e assolutissime
per mezzi proporzionali e copulativi e partecipativi de la natura de l'uno e
l'altro estremo e, secondo la raggione propria, neutri, non è ordine, dove non
è certa participazione, non è participazione dove non si trova certa
colligazione, non è colligazione senza qualche partecipazione. È dunque
necessario che de tutte cose che sono sussistenti, sia uno principio di
subsistenza. Giongi a questo, che la raggione medesima non può fare che, avanti
qualsivoglia cosa distinguibile, non presuppona una cosa indistinta (parlo di
quelle cose, che sono, perché ente e non ente non intendo aver distinzione
reale, ma vocale e nominale solamente). Questa cosa indistinta è una raggione
comune, a cui si aggionge la differenza e forma distintiva. E certamente non si
può negare che, sì come ogni sensibile presuppone il soggetto della
sensibilità, cossì ogni intelligibile il soggetto della intelligibilità.
Bisogna dunque che sia una cosa che risponde alla raggione comune de l'uno e
l'altro soggetto; perché ogni essenzia necessariamente è fondata sopra qualche
essere, eccetto che quella prima, che è il medesimo con il suo essere, perché
la sua potenzia è il suo atto, perché è tutto quel che può essere, come fu
detto ieri. Oltre, se la materia (secondo gli adversari medesimi) non è corpo e
precede, secondo la sua natura, l'essere corporale, che dunque la può fare
tanto aliena da le sustanze dette incorporee? E non mancano di peripatetici che
dicono: sicome nelle corporee sustanze si trova un certo che di formale e
divino, cossì nelle divine convien che sia un che di materiale, a fine che le
cose inferiori s'accomodino alle superiori e l'ordine de l'une dipenda da
l'ordine de l'altre. E li teologi, benché alcuni di quelli siano nodriti ne
l'aristotelica dottrina, non mi denno però esser molesti in questo, se
accettano esser più debitori alla lor Scrittura che alla filosofia e natural
raggione. "Non mi adorare", disse un de' loro angeli al patriarca
Jacob, "perché son tuo fratello". Or se costui che parla com'essi
intendeno, è una sostanza intellettuale e affirma col suo dire, che quell'uomo
e lui convegnano nella realità d'un soggetto, stante qualsivoglia differenza
formale, resta che li filosofi abbiano un oraculo di questi teologi per
testimonio.
26 \ DIC.\ So che questo è detto da voi con
riverenza; perché sapete che non vi conviene di mendicar raggioni da tai luoghi
che son fuori de la nostra messe.
27 \ TEOF.\ Voi dite bene e vero; ma io non
allego quello per raggione e confirmazione, ma per fuggir scrupolo, quanto
posso; perché non meno temo apparere, che essere contrario alla teologia.
28 \ DIC.\ Sempre da' discreti teologi ne
saranno admesse le raggioni naturali, quantunque discorrano, pur che non
determinino contra l'autorità divina, ma si sottomettano a quella.
29 \ TEOF.\ Tali sono e saranno sempre le mie.
30 \ DIC.\ Bene, dunque seguite.
31 \ TEOF.\ Plotino ancora dice nel libro De
la materia, che, "se nel mondo intelligibile è moltitudine e
pluralità di specie, è necessario che vi sia qualche cosa comune, oltre la
proprietà e differenza di ciascuna di quelle: quello che è comune, tien luogo
di materia, quello che è proprio e fa distinzione, tien luogo di forma".
Gionge che, "se questo è a imitazion di quello, la composizion di questo
è a imitazion della composizion di quello. Oltre, quel mondo, se non ha
diversità, non ha ordine; se non ha ordine, non ha bellezza e ornamento; tutto
questo è circa la materia". Per il che il mondo superiore non solamente
deve esser stimato per tutto indivisibile, ma anco per alcune sue condizioni
divisibile e distinto: la cui divisione e distinzione non può esser capita
senza qualche soggetta materia. E benché dichi che tutta quella moltitudine
conviene in uno ente impartibile e fuor di qualsivoglia dimensione, quello dirò
essere la materia, nel quale si uniscono tante forme. Quello, prima che sia
conceputo per vario e multiforme, era in concetto uniforme, e prima che in
concetto formato, era in quello informe.
32 \ DIC.\ Benché in quel ch'avete detto con
brevità, abbiate apportate molte e forte raggioni per venire a conchiudere che
una sia la materia, una la potenza per la quale tutto quel che è, è in atto; e
non con minor raggione conviene alle sustanze incorporee che alle corporali,
essendo che non altrimente quelle han l'essere per lo possere essere, che queste
per lo posser essere hanno l'essere, e che oltre, per altre potenti raggioni (a
chi potentemente le considera e comprende) avete dimostrato; tuttavia (se non
per la perfezione della dottrina, per la chiarezza di quella) vorei che in
qualch'altro modo specificaste: come ne le cose eccellentissime, quali sono le
incorporee, si trova cosa informe e indefinita? come può ivi essere raggione di
medesima materia e che, per advenimento della forma e atto, medesimamente non si
dicono corpi? come, dove non è mutazione, generazione né corrozione alcuna,
volete che sia materia, la quale mai è stata posta per altro fine? come potremo
dire la natura intelligibile esser semplice, e dir che in quella sia materia e
atto? Questo non lo dimando per me, al quale la verità è manifesta, ma forse
per altri, che possono essere più morosi e difficili, come, per esempio,
maestro Poliinnio e Gervasio.
33 \ POL.\ Cedo.
34 \ GERV.\ Accepto, e vi ringrazio, Dicsone,
perché considerate la necessità di quei che non hanno ardire di dimandare,
come comporta la civiltà de le mense oltramontane; ove, a quei che siedono gli
secondi non lice stender le dita fuor del proprio quadretto o tondo, ma conviene
aspettar che gli sia posto in mano, a fin che non prenda boccone, che non sia
pagato col suo "gran mercé".
35 \ TEOF.\ Dirò per risoluzion del tutto,
che, sì come l'uomo, secondo la natura propria de l'uomo, è differente dal
leone, secondo la natura propria del leone; ma, secondo la natura comone de
l'animale, de la sustanza corporea e altre simili, sono indifferenti e la
medesima cosa; similmente, secondo la propria raggione, è differente la materia
di cose corporali dalla de cose incorporee. Tutto dunque lo che apportate de lo
esser causa costitutiva di natura corporea, de l'esser soggetto de trasmutazioni
de tutte sorti e de l'esser parte di composti, conviene a questa materia per la
raggione propria. Perché la medesima materia (voglio dir più chiaro) il
medesimo che può esser fatto o pur può essere, o è fatto, è per mezzo de le
dimensioni ed extensioni del suggetto, e quelle qualitadi che hanno l'essere nel
quanto; e questo si chiama sustanza corporale e suppone materia corporale; o è
fatto (se pur ha l'essere di novo) ed è senza quelle dimensioni, extensione e
qualità; e questo si dice sustanza incorporea, e suppone similmente detta
materia. Cossì ad una potenza attiva tanto di cose corporali quanto di cose
incorporee, over ad un essere tanto corporeo quanto incorporeo, corrisponde una
potenza passiva tanto corporea quanto incorporea, e un posser esser tanto
corporeo quanto incorporeo. Se dunque vogliamo dir composizione tanto ne l'una
quanto ne l'altra natura, la doviamo intendere in una ed un'altra maniera; e
considerar che se dice nelle cose eterne una materia sempre sotto un atto, e che
nelle cose variabili sempre contiene or uno or un altro; in quelle la materia
ha, una volta, sempre ed insieme tutto quel che può avere, ed è tutto quel che
può essere; ma questa in più volte, in tempi diversi, e certe successioni.
36 \ DIC.\ Alcuni, quantunque concedano essere
materia nelle cose incorporee, la intendono però secondo una raggione molto
diversa.
37 \ TEOF.\ Sia quantosivoglia diversità
secondo la raggion propria, per la quale l'una descende a l'esser corporale e
l'altra non, l'una riceve qualità sensibili e l'altra non, e non par che possa
esser raggione comune a quella materia a cui ripugna la quantità ed esser
suggetto delle qualitadi che hanno l'essere nelle demensioni, e la natura a cui
non ripugna l'una né l'altra, anzi l'una e l'altra è una medesima, e che (come
è più volte detto) tutta la differenza depende dalla contrazione a l'essere
corporea e non essere corporea. Come nell'essere animale ogni sensitivo è uno;
ma, contraendo quel geno a certe specie, ripugna a l'uomo l'esser leone, e a
questo animale l'esser quell'altro. E aggiungo a questo, se 'l ti piace, perché
mi direste, che quello che giamai è, deve essere stimato più tosto impossibile
e contra natura che naturale; e però, giamai trovandosi quella materia
dimensionata, deve stimarsi che la corporeità gli sia contra natura; e se
questo è cossì non è verisimile che sia una natura comune a l'una e l'altra,
prima che l'una se intenda esser contratta a l'esser corporea, aggiungo, dico,
che non meno possiamo attribuir a quella materia la necessità de tutti gli atti
dimensionali che, come voi vorreste, la impossibilità. Quella materia per esser
attualmente tutto quello che può essere, ha tutte le misure, ha tutte le specie
di figure e di dimensioni; e perché le ave tutte, non ne ha nessuna, perché
quello che è tante cose diverse, bisogna che non sia alcuna di quelle
particolari. Conviene a quello che è tutto, che escluda ogni essere
particolare.
38 \ DIC.\ Vuoi dunque che la materia sia atto?
Vuoi ancora che la materia nelle cose incorporee coincida con l'atto?
39 \ TEOF.\ Come il posser essere coincide con
l'essere.
40 \ DIC.\ Non differisce dunque da la forma?
41 \ TEOF.\ Niente nell'absoluta potenza ed
atto absoluto. Il quale però è nell'estremo della purità, simplicità,
indivisibilità e unità, perché è assolutamente tutto: che se avesse certe
dimensioni, certo essere, certa figura, certa proprietà, certa differenza, non
sarebbe absoluto, non sarebbe tutto.
42 \ DIC.\ Ogni cosa dunque, che comprenda
qualsivoglia geno, è individua?
43 \ TEOF.\ Cossì è; perché la forma, che
comprende tutte le qualità, non è alcuna di quelle; lo che ha tutte le figure,
non ha alcuna di quelle; lo che ha tutto lo essere sensibile, però non si
sente. Più altamente individuo è quello che ha tutto l'essere naturale, più
altamente lo che ha tutto lo essere intellettuale, altissimamente quello che ha
tutto lo essere che può essere.
44 \ DIC.\ In similitudine di questa scala de
lo essere volete che sia la scala del posser essere? e volete che, come ascende
la raggione formale, così ascenda la raggione materiale?
45 \ TEOF.\ È vero.
46 \ DIC.\ Profonda e altamente prendete questa
definizione di materia e potenza.
47 \ TEOF.\ Vero.
48 \ DIC.\ Ma questa verità non potrà esser
capita da tutti, perché è pur arduo a capire il modo con cui s'abbiano tutte
le specie di dimensioni e nulla di quelle, aver tutto l'esser formale e non aver
nessuno essere forma.
49 \ TEOF.\ Intendete voi come può essere?
50 \ DIC.\ Credo che sì; perché capisco bene
che l'atto per esser tutto, bisogna che non sia qualche cosa.
51 \ POL.\ Non potest esse idem totum et
aliquid; ego quoque illud capio.
52 \ TEOF.\ Dunque, potrete capir a proposito
che, se volessimo ponere la dimensionabilità per raggione della materia, tal
raggione non ripugnarebe a nessuna sorte di materia; ma che viene a differire
una materia da l'altra, solo per essere absoluta da le dimensioni ed esser
contratta alle dimensioni. Con essere absoluta, è sopra tutte e le comprende
tutte; con esser contratta, viene compresa da alcune ed è sotto alcune.
53 \ DIC.\ Ben dite che la materia secondo sé
non ha certe demensioni, e però se intende indivisibile, e riceve le dimensioni
secondo la raggione de la forma che riceve. Altre dimensioni ha sotto la forma
umana, altre sotto la cavallina, altre sotto l'olivo, altre sotto il mirto;
dunque, prima che sia sotto qualsivoglia di queste forme, ave in facultà tutte
quelle dimensioni, cossì come ha potenza di ricevere tutte quelle forme.
54 \ POL.\ Dicunt tamen propterea quod
nullas habet dimensiones.
55 \ DIC.\ E noi diciamo che ideo habet
nullas, ut omnes habeat.
56 \ GERV.\ Perché volete più tosto che le
includa tutte, che le escluda tutte?
57 \ DIC.\ Perché non viene a ricevere le
dimensioni come di fuora, ma a mandarle e cacciarle come dal seno.
58 \ TEOF.\ Dice molto bene. Oltre che è
consueto modo di parlare di peripatetici ancora, che dicono tutto l'atto
dimensionale e tutte forme uscire e venir fuori dalla potenza de la materia.
Questo intende in parte Averroe, il qual, quantunque arabo e ignorante di lingua
greca, nella dottrina peripatetica però intese più che qualsivoglia greco che
abbiamo letto; e arebbe più inteso, se non fusse stato cossì additto al suo
nume Aristotele. Dice lui che la materia ne l'essenzia sua comprende le
dimensioni interminate; volendo accennare che quelle pervegnono a terminarsi ora
con questa figura e dimensioni, ora con quella e quell'altra, quelle e
quell'altri, secondo il cangiar di forme naturali. Per il qual senso si vede che
la materia le manda come da sé e non le riceve come di fuora. Questo in parte
intese ancor Plotino, prencipe nella setta di Platone. Costui, facendo
differenza tra la materia di cose superiori e inferiori, dice che quella è
insieme tutto, ed essendo che possiede tutto, non ha in che mutarsi; ma questa,
con certa vicissitudine per le parti, si fa tutto, e a tempi e tempi si fa cosa
e cosa: però sempre sotto diversità, alterazione e moto. Cossì dunque mai è
informe quella materia, come né anco questa, benché differentemente quella e
questa; quella ne l'istante de l'eternità, questa negl'istanti del tempo;
quella insieme, questa successivamente; quella esplicatamente, questa
complicatamente; quella come molti, questa come uno; quella per ciascuno e cosa
per cosa, questa come tutto e ogni cosa.
59 \ DIC.\ Tanto che non solamente secondo gli
vostri principii, ma, oltre, secondo gli principii de l'altrui modi di
filosofare, volete inferire che la materia non è quel prope nihil,
quella potenza pura, nuda, senza atto, senza virtù e perfezione.
60 \ TEOF.\ Cossì è. La dico privata de le
forme e senza quelle, non come il ghiaccio è senza calore, il profondo è
privato di luce, ma come la pregnante è senza la sua prole, la quale la manda e
la riscuote da sé; e come in questo emispero la terra, la notte, è senza luce,
la quale con il suo scuotersi è potente di racquistare.
61 \ DIC.\ Ecco che anco in queste cose
inferiori, se non a fatto, molto viene a coincidere l'atto con la potenza.
62 \ TEOF.\ Lascio giudicar a voi.
63 \ DIC.\ E se questa potenza di sotto venesse
ad esser una finalmente con quella di sopra, che sarrebe?
64 \ TEOF.\ Giudicate voi. Possete quindi
montar al concetto, non dico del summo ed ottimo principio, escluso della nostra
considerazione; ma de l'anima del mondo, come è atto di tutto e potenza di
tutto, ed è tutta in tutto; onde al fine (dato che sieno innumerabili
individui) ogni cosa è uno; e il conoscere questa unità è il scopo e termine
di tutte le filosofie e contemplazioni naturali: lasciando ne' sua termini la
più alta contemplazione, che ascende sopra la natura, la quale a chi non crede
è impossibile e nulla.
65 \ DIC.\ È vero; perché se vi monta per
lume sopranaturale, non naturale.
66 \ TEOF.\ Questo non hanno quelli, che
stimano ogni cosa esser corpo, o semplice, come lo etere, o composto, come li
astri e cose astrali; e non cercano la divinità fuor de l'infinito mondo e le
infinite cose, ma dentro questo e in quelle.
67 \ DIC.\ In questo solo mi par differente il
fedele teologo dal vero filosofo.
68 \ TEOF.\ Cossì credo ancor io. Credo che
abbiate compreso quel che voglio dire.
69 \ DIC.\ Assai bene, io mi penso. Di sorte
che dal vostro dire inferisco che, quantunque non lasciamo montar la materia
sopra le cose naturali e fermiamo il piede su la sua comune definizione che
apporta la più volgare filosofia, trovaremo pure che la ritegna meglior
prorogativa che quella riconosca; la quale al fine non li dona altro che la
raggione de l'esser soggetto di forme e di potenza receptiva di forme naturali
senza nome, senza definizione, senza termino alcuno, perché senza ogni
attualità. Il che parve difficile ad alcuni cucullati, i quali, non volendo
accusare ma iscusar questa dottrina, dicono aver solo l'atto entitativo, cioè
differente da quello che non è semplicemente, e che non ha essere alcuno nella
natura, come qualche chimera o cosa che si finga; perché questa materia in fine
ha l'essere, e le basta questo, cossì, senza modo e dignità; la quale depende
da l'attualità che è nulla. Ma voi dimandareste raggione ad Aristotele: -
Perché vuoi tu, o principe di Peripatetici, più tosto che la materia sia nulla
per aver nullo atto, che sia tutto, per aver tutti gli atti, o l'abbia confusi o
confusissimi, come ti piace? Non sei tu quello che, sempre parlando del novo
essere delle forme nella materia o della generazione de le cose, dici le forme
procedere e sgombrare da l'interno de la materia, e mai fuste udito dire che per
opera d'efficiente vengano da l'esterno, ma che quello le riscuota da dentro?
Lascio che l'efficiente di queste cose, chiamato da te con un comun nome Natura,
lo fai pur principio interno, e non esterno, come avviene ne le cose
artificiali. Allora mi par che convegna dire che la non abbia in sé forma e
atto alcuno, quando lo viene a ricevere di fuora; allora mi par che convegna
dire che l'abbia tutte, quando si dice cacciarle tutte dal suo seno. Non sei tu
quello che, se non costretto da la raggione, spinto però dalla consuetudine del
dire, deffinendo la materia, la dici più tosto esser "quella cosa di cui
ogni specie naturale si produce", che abbi mai detto esser "quello, in
cui le cose si fanno", come converrebbe dire quando li atti non uscissero
da quella, e per conseguenza non le avesse?
-70 \ POL.\ Certe consuevit dicere
Aristoteles cum suis potius formas educi de potentia materiae quam in illam
induci, emergere potius ex ipsa quam in ipsam ingeri: ma io direi, che ha
piaciuto ad Aristotele chiamar atto più tosto la esplicazione de la forma che
la implicazione.
71 \ DIC.\ E io dico che l'essere espresso,
sensibile ed esplicato, non è principal raggione de l'attualità, ma è una
cosa consequente ed effetto di quella; sì come il principal essere del legno e
raggione di sua attualità non consiste ne l'essere letto, ma ne l'essere di tal
sustanza e consistenza che può esser letto, scanno, trabe, idolo e ogni cosa di
legno formata. Lascio che secondo più alta raggione della materia naturale si
fanno tutte cose naturali, che della artificiale le arteficiali, perché l'arte
della materia suscita le forme o per suttrazione, come quando de la pietra fa la
statua, o per apposizione, come quando, giongendo pietra a pietra e legno e
terra, forma la casa; ma la natura de la sua materia fa tutto per modo di
separazione, di parto, di efflussione, come intesero i pitagorici, compreso
Anassagora e Democrito, confirmorno i sapienti di Babilonia. Ai quali
sottoscrisse anco Mosè, che, descrivendo la generazione delle cose comandata da
l'efficiente universale, usa questo modo di dire: "Produca la terra li suoi
animali, producano le acqui le anime viventi", quasi dicesse: producale la
materia. Perché, secondo lui, il principio materiale de le cose è l'acqua;
onde dice, che l'intelletto efficiente (chiamato da lui spirito) "covava
sopra l'acqui": cioè, li dava virtù procreatrice, e da quelle produceva
le specie naturali, le quali tutte poi son dette da lui, in sustanza, acqui.
Onde parlando della separazione de' corpi inferiori e superiori, dice che
"la mente separò le acqui da l'acqui", da mezzo de le quali induce
esser comparuta l'arida. Tutti dunque per modo di separazione vogliono le cose
essere da la materia, e non per modo di apposizione e recepzione. Dunque si de'
più tosto dire che contiene le forme e che le includa, che pensare, che ne sia
vota e le escluda. Quella, dunque, che esplica lo che tiene implicato, deve
essere chiamata cosa divina e ottima parente, genetrice e madre di cose
naturali, anzi la natura tutta in sustanza. Non dite e volete cossì, Teofilo?
72 \ TEOF.\ Certo.
73 \ DIC.\ Anzi molto mi maraviglio, come non
hanno i nostri Peripatetici continuata la similitudine de l'arte. La quale de
molte materie che conosce e tratta, quella giudica esser megliore e più degna,
la quale è meno soggetta alla corrozione ed è più costante alla durazione, e
della quale possono esser prodotte più cose: però giudica l'oro esser più
nobile che il legno, la pietra e il ferro, perché è meno soggetto a
corrompersi; e ciò che può esser fatto di legno e di pietra, può farsi de
oro, e molte altre cose di più, maggiori e megliori per la sua bellezza,
costanza, trattabilità e nobiltà. Or che doviamo dire di quella materia, della
quale si fa l'uomo, l'oro e tutte cose naturali? Non deve esser ella stimata
più degna che la artificiale, e aver raggione di meglior attualità? - Perché,
o Aristotile, quello che è fondamento e base de l'attualità, dico, di ciò che
è in atto, e quello che tu dici esser sempre, durare in eterno, non vorai che
sia più in atto, che le tue forme, che le tue entelechie, che vanno e vegnono,
di sorte che, quando volessi cercare la permanenza di questo principio formale
ancora....
74 \ POL.\ Quia principia oportet semper
manere.
75 \ DIC.\ - e non possendo ricorrere alle
fantastiche idee di Platone, come tue tanto nemiche, sarai costretto e
necessitato a dire che queste forme specifiche o hanno la sua permanente
attualità nella mano de l'efficiente; e cossì non puoi dire, perché quello è
detto da te suscitatore e riscuotitore de le forme della potenza de la materia:
o hanno la sua permanente attualità nel seno de la materia; e cossì ti fia
necessario dire, perché tutte le forme che appaiono come nella sua superficie,
che tu dici individuali e in atto, tanto quelle che furono quanto le che sono e
saranno, son cose principiate, non sono principio. (E certo cossì credo essere
nella superficie della materia la forma particolare, come lo accidente è nella
superficie della sustanza composta. Onde minor raggione di attualità deve avere
la forma espressa al rispetto della materia, come.minor raggione di attualità
ha la forma accidentale in rispetto del composto).
76 \ TEOF.\ In vero poveramente si risolve
Aristotele, che dice, insieme con tutti gli antichi filosofi, che li principii
denno essere sempre permanenti; e poi quando cercamo nella sua dottrina dove
abbia la sua perpetua permanenza la forma naturale, la quale va fluttuando nel
dorso de la materia, non la trovaremo ne le stelle fisse, perché non descendeno
da alto queste particulari che veggiamo; non ne gli sigilli ideali, separati da
la materia, perché quelli per certo, se non son mostri, son peggio che mostri,
voglio dire chimere e vane fantasie. Che dunque? Sono nel seno della materia.
Che dunque? Ella è fonte de la attualità. Volete ch'io vi dica di vantaggio e
vi faccia vedere in quanta assurdità sia incorso Aristotele? Dice lui la
materia essere in potenza. Or dimandategli quando sarà in atto. Risponderà una
gran moltitudine con esso lui: quando arà la forma. Or aggiungi e dimanda: che
cosa è quella che ha l'essere di novo? Risponderanno a lor dispetto: il
composto e non la materia; perché essa è sempre quella, non si rinova, non si
muta. Come nelle cose artificiali, quando del legno è fatta la statua, non
diciamo che al legno vegna nuovo essere, perché niente più o meno è legno ora
che era prima; ma quello che riceve lo esser e l'attualità, è lo che di nuovo
si produce, il composto, dico la statua. Come adunque a quello dite appartenere
la potenza; che mai sarà in atto o arà l'atto? Non è dunque la materia in
potenza di essere o la che può essere, perché lei sempre è medesima e
inmutabile, ed è quella circa la quale e nella quale è la mutazione, più
tosto che quella che si muta. Quello che si altera, si aumenta, si sminuisce, si
muta di loco, si corrompe, sempre (secondo voi medesimi peripatetici) è il
composto, mai la materia; perché dunque dite la materia or in potenza or in
atto? Certo non è chi debba dubitare che, o per ricevere le forme o per
mandarle da sé, quanto all'essenza e sustanza sua, essa non riceve maggior e
minor attualità; e però non esser raggione, per la quale venga detta in
potenza. La quale quadra a ciò che è in continuo moto circa quella, e non a
lei che è in eterno stato ed è causa del stato più tosto; perché, se la
forma, secondo l'essere fondamentale e specifico, è di semplice e invariabile
essenza, non solo logicamente nel concetto e la raggione, ma anco fisicamente
nella natura, bisognarà che sia nella perpetua facultà de la materia, la quale
è una potenza indistinta da l'atto, come in molti modi ho esplicato quando
della potenza ho tante volte discorso.
77 \ POL.\ Quaeso, dite qualche cosa
dello appetito della materia, a fin che prendiamo qualche risoluzione per certa
alterazione tra me e Gervasio.
78 \ GERV.\ Di grazia, fatelo, Teofilo, perché
costui mi ha rotto il capo con la similitudine de la femina e la materia, e che
la donna non si contenta meno di maschi che la materia di forme, e va
discorrendo.
79 \ TEOF.\ Essendo che la materia non riceve
cosa alcuna da la forma, perché volete che la appetisca? Se (come
abbiamo.detto) ella manda dal suo seno le forme, e per consequenza le ha in sé,
come volete che le appetisca? Non appetisce quelle forme, che giornalmente si
cangiano nel suo dorso; perché ogni cosa ordinata appetisce quello dal che
riceve perfezione. Che può dare una cosa corrottibile ad una cosa eterna? una
cosa imperfetta, come è la forma de cose sensibili, la quale sempre è in moto,
ad una cosa eterna? una cosa imperfetta, come è la forma de cose sensibili, la
quale sempre è in moto, ad un'altra tanto perfetta che, se ben si contempla, è
uno esser divino nelle cose, come forse volea dire David de Dinanto, male inteso
da alcuni che riportano la sua opinione? Non la desidera per esser conservata da
quella, perché la cosa corrottibile non conserva la cosa eterna; oltre che è
manifesto, che la materia conserva la forma: onde tal forma più tosto deve
desiderar la materia per perpetuarsi, perché, separandosi da quella, perde
l'essere lei, e non quella che ha tutto ciò che aveva prima che lei si
trovasse, e che può aver de le altre. Lascio che, quando si dà la causa de la
corrozione, non si dice che la forma fugge la materia o che lascia la materia,
ma più tosto che la materia rigetta quella forma per prender l'altra. Lascio a
proposito che non abbiamo più raggion di dire che la materia appete le forme,
che per il contrario le ha in odio (parlo di quelle che si generano e
corrompono, perché il fonte de le forme, che è in sé, non può appetere,
atteso che non si appete lo che si possiede), perché per tal raggione, per cui
se dice appetere lo che tal volta riceve o produce, medesimamente, quando lo
rigetta e toglie via, se può dir che l'abomina; anzi più potentemente abomina
che appete, atteso che eternamente rigetta quella forma numerale che in breve
tempo ritenne. Se dunque ricordarai questo, che quante ne prende tante ne
rigetta, devi equalmente farmi lecito de dire che ella ha in fastidio, come io
ti farò dire che ella ha in desio.
80 \ GERV.\ Or ecco a terra non solamente gli
castelli di Poliinnio, ma ancora di altri che di Poliinnio.
81 \ POL.\ Parcius ista viris.....
82 \ DIC.\ Abbiamo assai compreso per oggi; a
rivederci domani!
83 \ TEOF.\ Dunque, adio.
84 Fine del quarto dialogo.
Dialogo 5
1
\ TEOF.\ È dunque
l'universo uno, infinito, inmobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno
l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente,
uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser essere compreso; e però
infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato, e per
conseguenza inmobile. Questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor
di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto. Non si genera; perché non è
altro essere, che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo
essere. Non si corrompe; perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che
lui sia ogni cosa. Non può sminuire o crescere, atteso che è infinito; a cui
come non si può aggiongere, cossì è da cui non si può suttrarre, per ciò
che lo infinito non ha parte proporzionabili. Non è alterabile in altra
disposizione, perché non ha esterno, da cui patisca e per cui venga in qualche
affezione. Oltre che, per comprender tutte contrarietadi nell'esser suo in
unità e convenienza, e nessuna inclinazione posser avere ad altro e novo
essere, o pur ad altro e altro modo di essere, non può esser soggetto di
mutazione secondo qualità alcuna, né può aver contrario o diverso, che lo
alteri, perché in lui è ogni cosa concorde. Non è materia, perché non è
figurato né figurabile, non è terminato né terminabile. Non è forma, perché
non informa né figura altro, atteso che è tutto, è massimo, è uno, è
universo. Non è misurabile né misura. Non si comprende, perché non è maggior
di sé. Non si è compreso, perché non è minor di sé. Non si agguaglia,
perché non è altro e altro ma uno e medesimo. Essendo medesimo e uno, non ha
essere ed essere; e perché non ha essere ed essere, non ha parte e parte; e per
ciò che non ha parte e parte, non è composto. Questo è termine di sorte che
non è termine, è talmente forma che non è forma, è talmente materia che non
è materia, è talmente anima che non è anima: perché è il tutto
indifferentemente, e però è uno, l'universo è uno.
2 In questo certamente non è maggiore
l'altezza che la lunghezza e profondità; onde per certa similitudine si chiama,
ma non è, sfera. Nella sfera, medesima cosa è lunghezza che larghezza e
profondo, perché hanno medesimo termino; ma ne l'universo medesima cosa è
larghezza, lunghezza e profondo, perché medesimamente non hanno termine e sono
infinite. Se non hanno mezzo, quadrante e altre misure, se non vi è misura, non
vi è parte proporzionale, né assolutamente parte che differisca dal tutto.
Perché, se vuoi dir parte de l'infinito, bisogna dirla infinito; se è
infinito, concorre in uno essere con il tutto: dunque l'universo è uno,
infinito, impartibile. E se ne l'infinito non si trova differenza, come di tutto
e parte, e come di altro e altro, certo l'infinito è uno. Sotto la comprensione
de l'infinito non è parte maggiore e parte minore, perché alla proporzione de
l'infinito non si accosta più una parte quantosivoglia maggiore che un'altra
quantosivoglia minore; e però ne l'infinita durazione non differisce la ora dal
giorno, il giorno da l'anno, l'anno dal secolo, il secolo dal momento; perché
non son più gli momenti e le ore che gli secoli, e non hanno minor proporzione
quelli che questi a la eternità. Similmente ne l'immenso non è differente il
palmo dal stadio, il stadio da la parasanga; perché alla proporzione de la
inmensitudine non più si accosta per le parasanghe che per i palmi. Dunque
infinite ore non son più che infiniti secoli, e infiniti palmi non son di
maggior numero che infinite parasanghe. Alla proporzione, similitudine, unione e
identità de l'infinito non più ti accosti con essere uomo che formica, una
stella che un uomo; perché a quello essere non più ti avicini con esser sole,
luna, che un uomo o una formica; e però nell'infinito queste cose sono
indifferenti. E quello che dico di queste, intendo di tutte l'altre cose di
sussistenza particulare.
3 Or, se tutte queste cose particulari ne
l'infinito non sono altro e altro, non sono differenti, non sono specie, per
necessaria consequenza non sono numero; dunque, l'universo è ancor uno
immobile. Questo, perché comprende tutto, e non patisce altro e altro essere, e
non comporta seco né in sé mutazione alcuna; per consequenza, è tutto quello
che può essere; ed in lui (come dissi l'altro giorno) non è differente l'atto
da la potenza. Se dalla potenza non è differente l'atto, è necessario che in
quello il punto, la linea, la superficie e il corpo non differiscano: perché
cossì quella linea è superficie, come la linea, movendosi, può essere
superficie; cossì quella superficie è mossa ed è fatta corpo, come la
superficie può moversi e, con il suo flusso, può farsi corpo. È necessario
dunque che il punto ne l'infinito non differisca dal corpo, perché il punto,
scorrendo da l'esser punto, si fa linea; scorrendo da l'esser linea, si fa
superficie; scorrendo da l'esser superficie, si fa corpo; il punto, dunque,
perché è in potenza ad esser corpo, non differisce da l'esser corpo dove la
potenza e l'atto è una medesima cosa.
4 Dunque, l'individuo non è differente dal
dividuo, il simplicissimo da l'infinito, il centro da la circonferenza. Perché
dunque l'infinito è tutto quello che può essere; è inmobile; perché in lui
tutto è indifferente, è uno; e perché ha tutta la grandezza e perfezione che
si possa oltre e oltre avere, è massimo ed ottimo immenso. Se il punto non
differisce dal corpo, il centro da la circonferenza, il finito da l'infinito, il
massimo dal minimo, sicuramente possiamo affirmare che l'universo è tutto
centro, o che il centro de l'universo è per tutto, e che la circonferenza non
è in parte alcuna per quanto è differente dal centro, o pur che la
circonferenza è per tutto, ma il centro non si trova in quanto che è
differente da quella. Ecco come non è impossibile, ma necessario che l'ottimo,
massimo, incompreensibile è tutto, è per tutto, è in tutto, perché, come
semplice e indivisibile, può esser tutto, essere per tutto, essere in tutto. E
cossì non è stato vanamente detto che Giove empie tutte le cose, inabita tutte
le parti de l'universo, è centro de ciò che ha l'essere, uno in tutto e per
cui uno è tutto. Il quale, essendo tutte le cose e comprendendo tutto l'essere
in sé, viene a far che ogni cosa sia in ogni cosa.
5 Ma mi direste: perché dunque le cose si
cangiano, la materia particulare si forza ad altre forme? Vi rispondo, che non
è mutazione che cerca altro essere, ma altro modo di essere. E questa è la
differenza tra l'universo e le cose de l'universo; perché quello comprende
tutto lo essere e tutti i modi di essere: di queste ciascuna ha tutto l'essere,
ma non tutti i modi di essere; e non può attualmente aver tutte le circostanze
e accidenti, perché molte forme sono incompossibili in medesimo soggetto, o per
esserno contrarie o per appartener a specie diverse; come non può essere
medesimo supposito individuale sotto accidenti di cavallo e uomo, sotto
dimensioni di una pianta e uno animale. Oltre, quello comprende tutto lo essere
totalmente, perché estra e oltre lo infinito essere non è cosa che sia, non
avendo estra né oltra; di queste poi ciascuna comprende tutto lo essere, ma non
totalmente, perché oltre ciascuna sono infinite altre. Però intendete tutto
essere in tutto, ma non totalmente e omnimodamente in ciascuno. Però intendete
come ogni cosa è una, ma non unimodamente.
6 Però non falla chi dice uno essere lo ente,
la sustanza e l'essenzia; il quale, come infinito e interminato, tanto secondo
la sustanza quanto secondo la durazione quanto secondo la grandezza quanto
secondo il vigore, non ha raggione di principio né di principiato; perché,
concorrendo ogni cosa in unità e identità, dico medesimo essere, viene ad
avere raggione absoluta e non respettiva. Ne l'uno infinito, inmobile, che è la
sustanza, che è lo ente, se vi trova la moltitudine, il numero, che, per essere
modo e moltiformità de lo ente, la quale viene a denominar cosa per cosa, non
fa per questo che lo ente sia più che uno, ma moltimodo e moltiforme e
moltifigurato. Però, profondamente considerando con gli filosofi naturali,
lasciando i logici ne le lor fantasie, troviamo che tutto lo che fa differenza e
numero, è puro accidente, è pura figura, è pura complessione. Ogni
produzione, di qualsivoglia sorte che la sia, è una alterazione, rimanendo la
sustanza sempre medesima; perché non è che una, uno ente divino, immortale.
Questo lo ha possuto intendere Pitagora, che non teme la morte, ma aspetta la
mutazione. L'hanno possuto intendere tutti filosofi, chiamati volgarmente
fisici, che niente dicono generarsi secondo sustanza né corrompersi, se non
vogliamo nominar in questo modo la alterazione. Questo lo ha inteso Salomone,
che dice "non essere cosa nova sotto il sole, ma quel che è fu già
prima". Avete dunque come tutte le cose sono ne l'universo, e l'universo è
in tutte le cose; noi in quello, quello in noi; e cossì tutto concorre in una
perfetta unità. Ecco come non doviamo travagliarci il spirto, ecco come cosa
non è, per cui sgomentarne doviamo. Perché questa unità è sola e stabile, e
sempre rimane; questo uno è eterno; ogni volto, ogni faccia, ogni altra cosa è
vanità, è come nulla, anzi è nulla tutto lo che è fuor di questo uno. Quelli
filosofi hanno ritrovata la sua amica Sofia, li quali hanno ritrovata questa
unità. Medesima cosa a fatto è la sofia, la verità, la unità. Hanno saputo
tutti dire che vero, uno ed ente son la medesima cosa, ma non tutti hanno
inteso: perché altri hanno seguitato il modo di parlare, ma non hanno compreso
il modo d'intendere di veri sapienti. Aristotele, tra gli altri, che non
ritrovò l'uno, non ritrovò lo ente, e non ritrovò il vero, perché non
conobbe come uno lo ente; e benché fusse stato libero di prendere la
significazione de lo ente comune alla sustanza e l'accidente, e oltre de
distinguere le sue categorie secondo tanti geni e specie per tante differenze,
non ha lasciato però di essere non meno poco aveduto nella verità per non
profondare alla cognizione di questa unità e indifferenza de la costante natura
ed essere; e, come sofista ben secco, con maligne esplicazioni e con leggiere
persuasioni pervertere le sentenze degli antichi e opporsi a la verità, non
tanto forse per imbecillità de intelletto, quanto per forza d'invidia e
ambizione.
7 \ DIC.\ Sì che questo mondo, questo ente,
vero, universo, infinito, inmenso, in ogni sua parte è tutto, tanto che lui è
lo istesso ubique. Laonde ciò che è ne l'universo, al riguardo de
l'universo (sia che si vuole a rispetto de li altri particolari corpi), è per
tutto secondo il modo della sua capacità; perché è sopra, è sotto, infra,
destro, sinistro, e secondo tutte differenze locali, perché in tutto lo
infinito son tutte queste differenze e nulla di queste. Ogni cosa che prendemo
ne l'universo, perché ha in sé quello che è tutto per tutto, comprende in suo
modo tutta l'anima del mondo (benché non totalmente, come già abbiamo detto);
la quale è tutta in qualsivoglia parte di quello. Però, come lo atto è uno, e
fa uno essere, ovunque lo sia, cossì nel mondo non è da credere che sia
pluralità di sustanza e di quello che veramente è ente.
8 Appresso so che avete come cosa manifesta che
ciascuno di tutti questi mondi innumerabili, che noi veggiamo ne l'universo, non
sono in quello tanto come in un luogo continente e come in uno intervallo e
spacio, quanto come in uno comprensore, conservatore, motore, efficiente; il
quale cossì tutto vien compreso da ciascuno di questi mondi, come l'anima tutta
da ciascuna parte del medesimo. Però, benché un particolare mondo si muova
verso e circa l'altro, come la terra al sole e circa il sole, nientedimeno al
rispetto dell'universo nulla si muove verso né circa quello, ma in quello.
9 Oltre, volete che sì come l'anima (anco
secondo il dir comune) è in tutta la gran mole, a cui dà l'essere, e insieme
insieme è individua, e per tanto medesimamente è in tutto e in qualsivoglia
parte intieramente; cossì la essenza de l'universo è una nell'infinito ed in
qualsivoglia cosa presa come membro di quello, sì che a fatto il tutto e ogni
parte di quello viene ad esser uno secondo la sustanza; onde non essere
inconvenientemente detto da Parmenide uno, infinito immobile, sia che si vuole
della sua intenzione, la quale è incerta, riferita da non assai fidel relatore.
10 Dite che quel tutto che si vede di
differenza negli corpi,.quanto alle formazioni, complessioni, figure, colori e
altre proprietadi e comunitadi, non è altro che un diverso volto di medesima
sustanza; volto labile, mobile, corrottibile di uno inmobile, perseverante ed
eterno essere; in cui son tutte forme, figure e membri, ma indistinti e come
agglomerati, non altrimente che nel seme, nel quale non è distinto il braccio
da la mano, il busto dal capo, il nervo da l'osso. La qual distinzione e
sglomeramento non viene a produre altra e nuova sustanza, ma viene a ponere in
atto e compimento certe qualitadi, differenze, accidenti e ordini circa quella
sustanza. E quel che si dice del seme al riguardo de le membra degli animali,
medesimo si dice del cibo al riguardo de l'esser chilo, sangue, flemma, carne,
seme; medesimo di qualch'altra cosa, che precede l'esser cibo o altro; medesimo
di tutte cose, montando da l'infimo grado della natura sino al supremo di quella
montando da l'università fisica, conosciuta da' filosofi, alla altezza
dell'archetipa, creduta da' teologi, se ti piace; sin che si dovenga ad una
originale ed universale sustanza medesima del tutto, la quale si chiama lo ente,
fondamento di tutte specie e forme diverse; come ne l'arte fabrile è una
sustanza di legno soggetta a tutte misure e figure, che non son legno, ma di
legno, nel legno, circa il legno. Però tutto quello che fa diversità di geni,
di specie, differenze, proprietadi, tutto che consiste nella generazione,
corrozione, alterazione e cangiamento, non è ente, non è essere, ma condizione
e circostanza di ente ed essere; il quale è uno, infinito, immobile, soggetto,
materia, vita, anima, vero e buono.
11 Volete che per essere lo ente indivisibile e
semplicissimo, perché è infinito e atto tutto in tutto e tutto in ogni parte
(in modo che diciamo parte nello infinito, non parte dello infinito), non
possiamo pensar in modo alcuno che la terra sia parte dello ente, il sole parte
della sustanza, essendo quella impartibile; ma sì bene è lecito dire sustanza
della parte o pur, meglio, sustanza nella parte; cossì, come non è lecito dire
parte dell'anima esser nel braccio, parte dell'anima esser nel capo, ma sì bene
l'anima nella parte che è il capo, la sustanza della parte o nella parte che è
il braccio. Perché lo essere porzione, parte, membro, tutto, tanto quanto,
maggiore minore, come questo come quello, di questo di quello, concordante,
differente e di altre raggioni che non significano uno assoluto, e però non si
possono riferire alla sustanza, a l'uno, a l'ente, ma per la sustanza, nell'uno
e circa lo ente, come modi, raggioni e forme; cossì, come comunmente si dice
circa una sustanza essere la quantità, la qualità, relazione, azione, passione
e altri circostanti geni, talmente ne l'uno ente summo, nel quale è
indifferente l'atto dalla potenza, il quale può essere tutto assolutamente ed
è tutto quello che può essere, è complicatamente uno, inmenso, infinito, che
comprende tutto lo essere ed è esplicatamente in questi corpi sensibili e in la
distinta potenza e atto che veggiamo in essi. Però volete che quello che è
generato e genera (o sia equivoco o univoco agente, come dicono quei che
volgarmente filosofano) e quello di che si fa la generazione, sempre sono di
medesima sustanza. Per il che non vi sonarà mal ne l'orecchio la sentenza di
Eraclito, che disse tutte le cose essere uno, il quale per la mutabilità ha in
sé tutte le cose; e perché tutte le forme sono in esso, conseguentemente tutte
le diffinizioni gli convegnono; e per tanto le contradittorie enunciazioni son
vere. E quello che fa la moltitudine ne le cose, non è lo ente, non è la cosa,
ma quel che appare, che si rapresenta al senso ed è nella superficie della
cosa.
12 \ TEOF.\ Cossì è. Oltre questo, voglio che
apprendiate più capi di questa importantissima scienza e di questo fondamento
solidissimo de le veritadi e secreti di natura. Prima, dunque, voglio che
notiate essere una e medesima scala per la quale la natura descende alla
produzion de le cose, e l'intelletto ascende alla cognizion di quelle; e che
l'uno e l'altra da l'unità procede all'unità, passando per la moltitudine di
mezzi. Lascio che, con il suo modo di filosofare, gli Peripatetici e molti
Platonici alla moltitudine de le cose, come al mezzo, fanno procedere il
purissimo atto da un estremo e la purissima potenza da l'altro; come vogliono
altri per certa metafora convenir le tenebre e la luce alla constituzione de
innumerabili gradi di forme, effigie, figure e colori. Appresso i quali, che
considerano dui principii e dui principi, soccorreno altri nemici e impazienti
di poliarchia, e fanno concorrere quei doi in uno, che medesimamente è abisso e
tenebra, chiarezza e luce, oscurità profonda e impenetrabile, luce superna e
inaccessibile.
13 Secondo, considerate che l'intelletto,
volendo liberarse e disciorse dall'immaginazione alla quale è congionto, oltre
che ricorre alle matematiche ed imaginabili figure, a fin che o per quelle o per
la similitudine di quelle comprenda l'essere e la sustanza de le cose, viene
ancora a riferire la moltitudine e diversità di specie a una e medesima radice.
Come Pitagora che puose gli numeri principii specifici de le cose, intese
fundamento e sustanza di tutti la unità; Platone ed altri, che puosero le
specie consistenti nelle figure, di tutti il medesimo ceppo e radice intesero il
punto come sustanza e geno universale. E forse le superficie e figure son quelle
che al fine intese Platone per il suo Magno, e il punto e atomo è quello che
intese per il suo Parvo, gemini principii specifici de le cose; i quali poi si
riducono ad uno, come ogni dividuo a l'individuo. Que' dunque che dicono, il
principio sustanziale esser l'uno, vogliono che le sustanze son come i numeri;
gli altri che intendeno il principio sustanziale come il punto, vogliono le
sustanze de cose essere come figure; e tutti convegnono con ponere un principio
individuo. Ma meglior e più puro è il modo di Pitagora che quel di Platone,
perché la unità è causa e raggione della individuità e puntalità, ed è un
principio più absoluto e accomodabile a l'universo ente.
14 \ GERV.\ Perché Platone, che venne
appresso, non fece similmente né meglio che Pitagora?.
15 \ TEOF.\ Perché volse più tosto, dicendo
peggio e con men comodo e appropriato modo, esser stimato maestro che, dicendo
megliormente e meglio, farsi riputar discepolo. Voglio dire, che il fine de la
sua filosofia era più la propria gloria che la verità; atteso che non posso
dubitar che lui sapesse molto bene che il suo modo era appropriato più alle
cose corporali e corporalmente considerate, e quell'altro non meno accomodato e
appropriabile a queste, che a tutte l'altre che la raggione, l'imaginazione,
l'intelletto, l'una e l'altra natura sapesse fabricare. Ogniuno confessarà, che
non era occolto a Platone che la unità e numeri necessariamente essaminano e
donano raggione di punto e figure, e non sono essaminati e non prendeno raggione
da figure e punti necessariamente, come la sustanza dimensionata e corporea
depende dall'incorporea e individua; oltre che questa è absoluta da quella,
perché la raggione di numeri si trova senza quella de misura, ma quella non
può essere absoluta da questa, perché la raggione di misure non si trova senza
quella di numeri. Però la aritmetrica similitudine e proporzione è più
accomodata che la geometrica, per guidarne per mezzo de la moltitudine alla
contemplazione e apprensione di quel principio indivisibile; che, per essere
unica e radical sustanza di tutte cose, non è possibile, ch'abbia un certo e
determinato nome, e tal dizione che significhe più tosto positiva che
privativamente: e però è stato detto da altri punto, da altri unità, da altri
infinito, e secondo varie raggioni simili a queste.
16 Aggiungi a quel che è detto che, quando
l'intelletto vuol comprendere l'essenzia d'una cosa, va simplificando quanto
può: voglio dire, dalla composizione e moltitudine se ritira, rigittando gli
accidenti corrottibili, le dimensioni, i segni, le figure a quello che
sottogiace a queste cose. Cossì la lunga scrittura e prolissa orazione non
intendemo, se non per contrazione ad una semplice intenzione. L'intelletto in
questo dimostra apertamente come ne l'unità consista la sustanza de le cose, la
quale va cercando o in verità o in similitudine. Credi, che sarebbe
consummatissimo e perfettissimo geometra quello che potesse contraere ad una
intenzione sola tutte le intenzioni disperse ne' principii di Euclide;
perfettissimo logico chi tutte le intenzioni contraesse ad una. Quindi è il
grado delle intelligenze; perché le inferiori non possono intendere molte cose,
se non con molte specie, similitudini e forme; le superiori intendeno
megliormente con poche; le altissime con pochissime perfettamente. La prima
intelligenza in una idea perfettissimamente comprende il tutto; la divina mente
e la unità assoluta, senza specie alcuna, è ella medesimo lo che intende e lo
ch'è inteso. Cossì dunque, montando noi alla perfetta cognizione, andiamo
complicando la moltitudine; come, descendendosi alla produzione de le cose, si
va esplicando la unità. Il descenso è da uno ente ad infiniti individui e
specie innumerabili, lo ascenso è da questi a quello.
17 Per conchiudere dunque questa seconda
considerazione, dico che, quando aspiriamo e ne forziamo al principio e sustanza
de le cose, facciamo progresso verso la indivisibilità; e giamai credemo esser
gionti al primo ente e universal sustanza sin che non siamo arrivati a quell'uno
individuo in cui tutto si comprende; tra tanto non più credemo comprendere di
sustanza e di essenza, che sappiamo comprendere di indivisibilità. Quindi i
Peripatetici e Platonici infiniti individui riducono ad una individua raggione
di molte specie; innumerabili specie comprendono sotto determinati geni, quali
Archita primo volse che fussero diece; determinati geni ad uno ente, una cosa;
la qual cosa ed ente è compresa da costoro come un nome e dizione ed una logica
intenzione, e in fine una vanità. Perché, trattando fisicamente poi, non
conosceno uno principio di realità ed essere di tutto quel che è, come una
intenzione e nome comune a tutto quel che si dice e si comprende. Il che certo
è accaduto per imbecillità di intelletto.
18 Terzo, devi sapere che, essendo la sustanza
ed essere distinto ed assoluto da la quantità, e per conseguenza la misura e
numero non è sustanza ma circa la sustanza, non ente ma cosa di ente, aviene
che necessariamente doviamo dire la sustanza essenzialmente essere senza numero
e senza misura, e però una e individua in tutte le cose particolari; le quali
hanno la sua particularità dal numero, cioè da cose che sono circa la
sustanza. Onde chi apprende Poliinnio come Poliinnio, non apprende sustanza
particolare, ma sustanza nel particolare e nelle differenze, che son circa
quella; la quale per esse viene a ponere questo uomo in numero e moltitudine
sotto una specie. Qua, come certi accidenti umani fanno moltiplicazione di
questi chiamati individui dell'umanità, cossì certi accidenti animali fanno
moltiplicazione di queste specie dell'animalità. Parimenti certi accidenti
vitali fanno moltiplicazione di questo animato e vivente. Non altrimente certi
accidenti corporei fanno moltiplicazione di corporeità. Similmente certi
accidenti di sussistenza fanno moltiplicazione di sustanza. In tal maniera certi
accidenti di essere fanno moltiplicazione di entità, verità, unità, ente,
vero, uno.
19 Quarto, prendi i segni e le verificazioni
per le quali conchiuder vogliamo gli contrarii concorrere in uno, onde non fia
difficile al fine inferire che le cose tutte sono uno, come ogni numero, tanto
pare quanto ìmpare, tanto finito quanto infinito, se riduce all'unità; la
quale iterata con il finito pone il numero, e con l'infinito nega il numero. I
segni le prenderai dalla matematica, le verificazioni da le altre facultadi
morali e speculative. Or, quanto a' segni, ditemi: che cosa è più dissimile
alla linea retta, che il circolo? che cosa è più contrario al retto che il
curvo? Pure nel principio e minimo concordano, atteso che (come divinamente
notò il Cusano, inventor di più bei secreti di geometria) qual differenza
trovarai tu tra il minimo arco e la minima corda? Oltre, nel massimo, che
differenza trovarai tra il circolo infinito e la linea retta? Non vedete come il
circolo, quanto è più grande, tanto più con il suo arco si va approssimando
alla rettitudine? Chi è sì cieco, che non veda qualmente l'arco BB, per esser
più grande che l'arco AA, e l'arco CC più grande che l'arco BB, e l'arco DD
più che gli altri tre, riguardano ad esser parte di maggior circolo; e con
questo più e più avicinarsi alla rettitudine della linea infinita del circolo
infinito, significata per IK? Quivi certamente bisogna dire e credere che, sì
come quella linea che è più grande, secondo la raggione di maggior grandezza,
è anco più retta; similmente la massima di tutte deve essere in superlativo
più di tutte retta; tanto che al fine la linea retta infinita vegna ad esser
circolo infinito. Ecco dunque come non solamente il massimo e il minimo
convegnono in uno essere, come altre volte abbiamo dimostrato, ma ancora nel
massimo e nel minimo vegnono ad essere uno e indifferente gli contrari.
20 Oltre, se ti piace comparare le specie
finite al triangolo, perché dal primo finito e primo terminato tutte le cose
finite se intendeno, per certa analogia, participare a finitudine e la
terminazione (come in tutti geni li predicati analogi tutti prendeno il grado e
ordine dal primo e massimo di quel geno), per tanto che il triangolo è la prima
figura, la quale non si può risolvere in altra specie di figura più semplice
(come, per il contrario, il quatrangolo se risolve in triangoli), e però è
primo fondamento d'ogni cosa terminata e figurata: trovarai che il triangolo,
come non si risolve in altra figura, similmente non può procedere in triangoli
di quai gli tre angoli sieno maggiori o minori, benché sieno varii e diversi,
di varie e diverse figure, quanto alla magnitudine maggiore e minore, minima e
massima. Però se poni un triangolo infinito (non dico realmente e
assolutamente, perché l'infinito non ha figura; ma infinito dico per
supposizione, e per quanto angolo dà luogo a quello che vogliamo dimostrare)
quello non arà angolo maggiore che il triangolo minimo finito, non solo che li
mezzani e altro massimo.
21 Lasciando stare la comparazione de figure e
figure, dico di triangoli e triangoli; e prendendo angoli e angoli, tutti,
quantunque grandi e piccioli, sono equali, come in questo quadro appare. Il
quale per il diametro è diviso in tanti triangoli: dove si vede che non
solamente sono uguali li angoli retti di tre quadrati A, B, C, ma anco tutti gli
acuti che risultano per divisione di detto diametro, che constituisce tanti al
doppio triangoli, tutti di equali angoli. Quindi per similitudine molto espressa
si vede come la una infinita sustanza può essere in tutte le cose tutta,
benché in altri finita in altri infinitamente, in questi con minore in quelli
con maggiore misura.
22 Giongi a questo (per veder oltre che in
questo uno e infinito li contrarii concordano) che lo angolo acuto e ottuso sono
dui contrarii, i quali non vedi qualmente nascono da uno individuo e medesimo
principio, cioè da una inclinazione che fa la linea perpendicolare M, che si
congionge alla linea iacente BD, nel punto C? Questa, su quel punto, con una
semplice inclinazione verso il punto D, dopo che faceva indifferentemente angulo
retto e retto, viene a far tanto maggior differenza di angolo acuto e ottuso,
quanto più s'avicina al punto C; al quale essendo gionta e unita, fa
l'indifferenza d'acuto e ottuso, similmente annullandosi l'uno e l'altro,
perché sono uno nella potenza di medesima linea. Quella come ha possuto unirsi
e farsi indifferente con la linea BD, cossì può disunirsi e farsi differente
da quella, suscitando da medesimo, uno e individuo principio i contrariissimi
angoli, che sono il massimo acuto e massimo ottuso sin al minimo acuto e ottuso
minimo, ed oltre all'indifferenza di retto e quella concordanza che consiste nel
contatto della perpendicolare e iacente.
23 Quanto alle verificazioni poi, chi non sa
primamente circa le qualitadi attive prime della natura corporea, che il
principio del calore è indivisibile, e però separato da ogni calore, perché
il principio non deve essere cosa alcuna de le principiate? Se è cossì, chi
deve dubitare di affirmare che il principio non è caldo né freddo, ma uno
medesimo del caldo e del freddo? Onde aviene che un contrario è principio de
l'altro, e che però le trasmutazioni son circolari, se non per essere un
soggetto, un principio, un termine e una continuazione e un concorso de l'uno e
l'altro? Il minimo caldo e il minimo freddo non son tutto uno? Dal termine del
massimo calore non si prende il principio del moto verso il freddo? Quindi è
aperto che non solo ocorreno talvolta i dui massimi nella resistenza e li dui
minimi nella concordanza, ma etiam il massimo e il minimo per la
vicissitudine di trasmutazione; onde non senza caggione nell'ottima disposizione
sogliono temere i medici; nel supremo grado della felicità son più timidi gli
providi. Chi non vede uno essere il principio della corrozione e generazione?
L'ultimo del corrotto non è principio del generato? Non diciamo insieme: tolto
quello, posto questo? era quello, è questo? Certo (se ben misuramo) veggiamo
che la corrozione non è altro che una generazione, e la generazione non è
altro che una corrozione; l'amore è un odio, l'odio è un amore, al fine.
L'odio del contrario è amore del conveniente; l'amor di questo è l'odio di
quello. In sustanza dunque e radice, è una medesima cosa amore e odio, amicizia
e lite. Da onde più comodamente cerca l'antidoto il medico, che dal veleno? Chi
porge meglior teriaca, che la vipera? Ne' massimi veneni ottime medicine. Una
potenza non è di dui contrarii oggetti? Or onde credi che ciò sia, se non da
quel, che cossì uno è il principio de l'essere come uno è il principio di
concepere l'uno e l'altro oggetto; e che cossì li contrarii son circa un
soggetto come sono appresi da uno e medesimo senso? Lascio che l'orbicolare posa
nel piano, il concavo s'acqueta e risiede nel convesso, l'iracondo vive gionto
al paziente, al superbissimo massimamente piace l'umile, a l'avaro il liberale.
24 In conclusione, chi vuol sapere massimi
secreti di natura, riguardi e contemple circa gli minimi e massimi de gli
contrarii e oppositi. Profonda magia è saper trar il contrario dopo aver
trovato il punto de l'unione. A questo tendeva con il pensiero il povero
Aristotele, ponendo la privazione (a cui è congionta certa disposizione) come
progenitrice, parente e madre della forma; ma non vi poté aggiungere. Non ha
possuto arrivarvi, perché, fermando il piè nel geno de l'opposizione, rimase
inceppato di maniera che, non descendendo alla specie de la contrarietà, non
giunse, né fissò gli occhi al scopo; dal quale errò a tutta passata, dicendo
i contrarii non posser attualmente convenire in soggetto medesimo.
25 \ POL.\ Alta, rara e singularmente avete
determinato del tutto, del massimo, de l'ente, del principio, de l'uno. Ma vi
vorei veder distinguere de l'unità, perché trovo un Vae soli! Oltre
che, sento grande angoscia per quel, che nel mio marsupio e crumena non vi
alloggia più che un vedovo solido.
26 \ TEOF.\ Quella unità è tutto, la quale
non è esplicata, non è sotto distribuzione e distinzione di numero, e tal
singularità che tu intendereste forse; ma che è complicante e comprendente.
27 \ POL.\ Exemplum? perché, a dire il
vero, intendo, ma non capio.
28 \ TEOF.\ Come il denario è una unità
similmente, ma complicante, il centenario non meno è unità, ma più
complicante; il millenario non è unità meno che l'altre, ma molto più
complicante. Questo che ne l'aritmetrica vi propono, devi più alta e
semplicemente intenderlo ne le cose tutte. Il sommo bene, il sommo appetibile,
la somma perfezione, la somma beatitudine consiste nell'unità che complica il
tutto. Noi ne delettamo nel colore; ma non in uno esplicato qualunque sia, ma
massime in uno che complica tutti colori. Ne delettamo nella voce, non in una
singulare, ma in una complicante che resulta da l'armonia di molte. Ne delettamo
in uno sensibile, ma massime in quello che comprende in sé tutti sensibili; in
uno cognoscibile che comprende ogni cognoscibile; in uno apprensibile che
abbraccia tutto che si può comprendere; in uno ente che complette tutto,
massime in quello uno che è il tutto istesso. Come tu, Poliinnio, ti
delettareste più ne l'unità di una gemma tanto preziosa, che contravalesse a
tutto l'oro del mondo, che nella moltitudine di migliaia delle migliaia di tai
soldi di quali ne hai uno in borsa.
29 \ POL.\ Optime.
30 \ GERV.\ Eccomi dotto; perché come chi non
intende uno, non intende nulla, cossì chi intende veramente uno, intende tutto;
e chi più s'avicina all'intelligenza dell'uno, s'approssima più all'apprension
di tutto.
31 \ DIC.\ Cossì io, se ho ben compreso, mi
parto molto arrichito dalla contemplazione del Teofilo, fidel relatore della
nolana filosofia.
32 \ TEOF.\ Lodati sieno gli dei, e magnificata
da tutti viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima e absolutissima
causa, principio e uno.